L'Ordine

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  1. barbara_dean
     
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    Titolo: L’Ordine

    Autore: barbara_dean

    Spoilers: piccolo, neanche troppo esplicito, e relativo ad una cosa successa nel corso della quarta e della quinta stagione

    Timeline: Premettendo che sto guardando ora la 5 stagione (eh lo so, sono un po’ indietro, ma c’ho i miei impegni!) e quindi non so come andrà a finire la vicenda di Lucifero & co., ho deciso che nel mio racconto Dean e Sam hanno fermato l’Apocalisse e che la storia è ambientata qualche mese dopo questo fatto. La trama quindi è pensata come una storia alternativa a quello che è successo in realtà dopo la quinta stagione di Supernatural. (Per questo motivo fate finta che i personaggi di Lisa e Ben non siano mai esistiti)


    Disclaimer: i personaggi relativi alla serie Supernatural presenti in questa fanfiction non mi appartengono; non intendo scrivere a scopo di luco e non intendo violare alcun copyright


    Personaggi: Dean e Sam Winchester e Allyson Cooper sono i protagonisti. Kevin Cooper, Mike e altri personaggi con ruoli secondari. Ci sarà (ovviamente, perchè io lo adoro!) Bobby.

    Sommario:
    Dean e Sam, dopo essersi ritrovati, ricominciano a girare gli Stati Uniti in cerca del soprannaturale. Il loro lavoro, dopo un anno, li porta a Blackwater (Arizona) dove un'entità misteriosa e potente miete delle vittime. Vittime scelte a caso? Forse sì, forse no. Questo starà a loro scoprirlo. Sta di fatto che, proprio grazie a questa indagine, nuovi personaggi faranno capolino nelle loro vite e uno di questi, la bella Allyson, vi resterà. Demoni, fantasmi, caccia, divertimento, dolore e amore caratterizzeranno le avventure dei Winchester e della nuova arrivata.

    Note: beh, non ho molto da aggiungere se non: ADORO scrivere. I capitoli verranno lunghi perché amo le descrizioni e le parti introspettive. Non mi piacciono le storie senza un contesto ben condito! Oltre a questo, devo dire che sarà una fanfiction avventurosa percorsa da una vena di romanticismo. Non so se la storia che uscirà sarà piacevole, nè se sarà troppo complicata da buttare giù fino alla fine, però io intanto inizio. Ditemi senza problemi se vi annoia e io smetto. No problem, anzi, mi serve un riscontro con il “pubblico”!

    Buona lettura!



    PRIMO CAPITOLO - “WELCOME TO BLACKWATER - ARIZONA”

    “02 novembre 1987
    George non è sicuro di farcela. Dietro allo splendido sorriso che mi ha fatta innamorare perdutamente di lui si nasconde paura... Paura per noi, per i nostri amici e fedeli compagni, per tutti quelli che come noi si sono battuti e per quelli che continueranno a farlo quando la vecchia guardia non ci sarà più, ma soprattutto paura per i nostri figli. I miei bambini... Quattro anni. Quattro anni e mi sembrano ancora quegli scriccioli che tenevo in braccio cercando, invano, di farli addormentare. Allyson e Kevin stanno dormendo nella stanza accanto, raggomitolati sotto al piumone con accanto i loro peluches preferiti. Sono appena stata di là, ho sistemato loro le coperte e stampato loro un bacio sulla fronte. “Dio mio, perchè?”, mi sono chiesta guardando i loro visetti. “Perchè è toccato a noi un'esistenza del genere?” Io non voglio, non ho mai voluto. Tutto ciò che chiedevo alla vita erano una famiglia, un marito e dei figli da amare. Perchè io? Perchè? Perchè questo fardello? George una volta mi disse che dovevo vedere le cose diversamente: “abbiamo la possibilità di aiutare e salvare persone innocenti, Susan. Non è un fardello, è un dono”. Ma se tutto questo è vero, se mentire a tutti, se sentirsi costretti a salutare ogni volta i propri figli come fosse l'ultima, se uscire di casa con la paura di non tornare più è un dono, allora io dico che non lo voglio. Non voglio salvare gente innocente, Cristo Santo! Voglio stare con i miei figli! Voglio salvaguardare loro, mio marito, la mia famiglia e non degli estranei! Questo non è un dono, è un peso insopportabile! Prima sono riuscita a dirlo a George. E lui cos’ ha risposto? “Amore, non possiamo fare altrimenti. Siamo stati scelti e non c’è stata concessa la possibilità di tirarci indietro. E poi questa volta è diverso: lo facciamo anche per i nostri figli. Ti prometto che dopo stasera sarà tutto finito, ti prometto, anzi, ti giuro che dopo stasera lasceremo perdere tutto e ti darò la vita che abbiamo sognato insieme”. Ti amo George, ma non posso fare altro che provare rabbia per quello che mi hai detto qualche minuto fa. Sono tutte bugie. Tranne una: non c’è stata data la possibilità di scegliere. È per questo che non non avremo mai la possibilità di vivere la vita che abbiamo sognato da ragazzi. Ora il mio cuore comincia a battere all'impazzata. Un leggero rumore. Gli altri sono arrivati. Fari spenti, due colpi alla porta per segnalare la loro presenza. Penso sia ora di chiudere questo diario. Grazie, in questi anni sei stato un amico fidato. Un amico che ha raccolto tutto quanto.
    Susan”



    La donna richiuse il suo diario con un gesto delicato, lo guardò per qualche istante e una lacrima le scese silenziosa lungo la guancia. Andò a posarsi sopra ad una soffice pelle di un color bordeaux ormai sbiadito.
    -Susan, è ora. Dobbiamo andare.-
    La donna si girò verso il marito, fermo sulla soglia della loro camera da letto. -Arrivo, George. Datemi un minuto.-. Aveva ancora una cosa da fare. Susan si avvicinò ad una piccola grata che si trovava su una delle quattro pareti della stanza, posizionata verso il basso, e svitò agilmente due minuscole viti. Non era la prima volta che la donna utilizzava una delle piccole entrate del condotto d’areazione di quella vecchia casa per nasconderci qualcosa. Ma mai come questa volta si trattava di un oggetto prezioso a tal punto. Quel libricino, acquistato in un libreria vicino a Nashville, conteneva tutta la vita della donna e del marito. O meglio, conteneva quella seconda esistenza che loro tentavano in ogni modo di tener nascosta agli occhi di coloro che non credevano o più semplicemente non sapevano. Quella seconda esistenza di cui solo alcuni facevano parte: pochi e fedeli compagni destinati a un qualcosa di più grande e, quella sera, più forte di loro. Susan infilò il braccio dentro allo stretto condotto, stando attenta ad arrivare il più possibile verso l’interno. Poi, con un abile gesto della mano, lanciò il diario. Questo arrestò la sua corsa qualche metro più in là, inconsapevole della sua importanza. Restò lì, immobile, venendo completamente avvolto da un buio che non avrebbe impedito ad una giovane ragazza desiderosa di risposte di ritrovarlo, qualche anno più tardi.
    Susan risistemò la grata e scese in cucina. Non riuscì a entrare per la seconda volta nella camera dei suoi piccoli. Dei suoi amori. Se solo lo avesse fatto, non sarebbe uscita da quella casa. Prese un pezzo del cartone della pizza gigante che avevano mangiato tutti assieme la sera prima e sul retro, con un pennarello, ci scrisse: "Ally, Kevin, siete la mia vita. Ciao amori miei, vi voglio bene. Ve ne ho sempre voluto tanto. Mamma.”. Poi si mise lo zaino sulle spalle e raggiunse gli altri in giardino, lasciandosi alle spalle quella che doveva essere la sua vita da sogno.



    Anno 1999
    -Che diavolo ci fai qua?-, tuonò la voce di George, -metti giù quel diario! Quante volte t'ho detto di non frugare tra le mie cose?-
    Allyson non si mosse. Rimase seduta sul letto matrimoniale dei genitori, gambe incrociate. Sollevò la testa quel poco per osservare suo padre: fermo, sulla soglia della stanza, la guardava con aria severa e truce. Come sempre. -Me lo ripeti più o meno tutti i giorni.- rispose, riabbassando il capo.
    Quello che successe dopo fu questione di attimi: George si avvicinò al letto camminando rabbiosamente, strappò l'oggetto dalle mani della figlia e la prese per una spalla, sollevandola in malo modo. Allyson si ritrovò in piedi accanto al letto, con la mano del padre che le brandiva la stoffa della felpa sopra alla spalla.
    -Fuori di qui Allyson.-
    -Sennò che fai?- fece lei provocatoria.
    Come risposta, George la trascinò fino alla porta e, mentre mollava la presa sulla stoffa, spinse sua figlia un po’ oltre la soglia. -Non voglio più trovarti qua dentro, chiaro?-
    Allyson si voltò, le bastò fare un passo per appoggiarsi con la spalla allo stipite. -Domani io sarò di nuovo qui a leggere il diaro della mamma, lo sai, no? Non me ne frega un cazzo di quello che mi dici, quella non è solo roba tua, è anche mia e di Kevin. Tu non puoi obbligarci a stare lontano da questa stanza. É l'unica cosa che ci resta di lei.-
    George provò una stretta al cuore guardando il viso della figlia, ormai sedicenne, rabbuiarsi. Erano passati dodici anni da quella lontana notte del 1987, dalla notte in cui quel figlio di puttana uccise sua moglie e in tutto questo tempo, l'unica cosa che lui era riuscito a fare, era chiudersi in sé stesso, allontanarsi da tutto e da tutti e in particolare da Allyson. Da quella figlia che giorno dopo giorno assomigliava sempre più alla sua Susy. L'uomo tentò di abbozzare un sorriso. -Hai ragione. Susan non era solo mia moglie, era anche vostra madre. Mi dispiace, Ally.-
    -Ally?-, alla ragazza uscì una risata sarcastica e nervosa allo stesso tempo. -Questa è bella!-. Poi, tornando improvvisamente seria, mostrò al padre il suo lato più rabbioso e rancoroso. -Non chiamarmi mai più così, solo la mamma poteva e solo Kevin può farlo ora. Tu no. Tu hai perso il diritto di chiarmarmi così. E poi, cosa credi? Che basti mostrami un mezzo sorrisetto e dire «mi dispiace» per risolvere tutto? Per cancellare tutto? Per farmi credere che in realtà mi vuoi bene? Sei patetico, papà. Sappiamo benissimo che tra cinque minuti tu uscirai da questa casa e quando tornerai, io per te tornerò ad essere di nuovo la figlia ingrata e stronza che non vuoi più vedere.-
    George rimase pietrificato. Sua figlia aveva ragione: era patetico. Lui se n’era reso conto già molto tempo prima e lei finalmente, e per la prima volta, era riuscita a dirglielo in faccia. Si sentì sconfitto. -Hai ragione. Hai ragione su tutto. Sono stato un pessimo padre dopo la morte della mamma e probabilmente non c’è niente che possa sistemare le cose…-
    -Infatti è così.- lo interruppe lei.
    L’uomo si bloccò, rimanendo in silenzio qualche secondo. Poi aprì bocca per terminare il discorso che aveva cominciato prima e che già altre volte si era ripromesso di fare ai suioi figli. Ma non ce la fece, così come in tutte le precedenti occasioni. Riuscì solo a formulare una semplice, quanto complessa, domanda. -Dici sul serio?-
    -Sì, dico sul serio.- replicò lei senza esitazioni. -Sai? Forse qualche anno fa avrei anche potuto perdonarti. La mamma se n’era andata e tu eri distrutto, certo, talmente distrutto da dimenticarti di avere due figli che a loro volta soffrivano perché avevano perso una delle persone più importanti della loro vita, ma ti avrei comunque perdonato. Nonostante tutto. Perché tu eri il mio idolo, perché ancora ci speravo che cambiassi. Però ho capito che le mie erano solo illusioni. E adesso che non m’è rimasto neanche un briciolo di affetto per te, la parola perdono non rientra più nel mio vocabolario. Perciò sì, dico sul serio. Papà.-.
    Fece per andarsene, ma George la bloccò per un braccio. -Aspetta, Allyson. Ti prego.-
    -E lasciami!-. Allyson si scagliò contro il padre come una furia, -finiscila con questa recita! Guarda che lo vedo come mi guardi! Con odio, come se fossi la cosa peggiore che ti potesse capitare!-
    George cercò di rispondere, ma rimase con la bocca spalancata e da questa non uscì alcun suono. Allyson gli si avvicinò, fermandosi a pochi centimetri dal padre. L'uomo distolse i suoi occhi da quelli che aveva di fronte: lividi di rabbia e allo stesso tempo imploranti, bisognosi di affetto.
    -Almeno ammettilo papà, ammettilo che mi odi. Non mi interessa sapere perchè, voglio solo sentirtelo dire.-. Allyson gli prese il mento con la mano e lo fece girare, -e già che ci sei, ammetti anche che se quella notte avessi tirato fuori le palle la mamma adesso sarebbe qui.-
    La sua frase ebbe l'effetto desiderato: uno schiaffo la prese in pieno volto. Allyson rimase a testa bassa qualche secondo, per la mente le passarono mille cose, le lacrime che imploravano di uscire vennero ricacciate indietro a fatica. Risollevò il capo. Con il palmo della mano tolse un rivolo di sangue che lentamente cominciava a uscire dal naso. Sorrise triste, -finalmente. Era ora che ti decidessi a farlo senza nasconderti dietro quella patetica scusa dell’alcool.-



    15 novembre 2011
    Allyson si strinse nel giubotto, rabbrividendo. Non riuscì a capire se per colpa del freddo o di questo ricordo che ogni tanto tornava a tormentarla. Forse per entrambe le cose. Ripensò a quella ventina di righe buttate giù a mano tremante dalla madre, chiedendosi per l'ennesima volta che cosa volessero dire. Che significato c'era dietro quella breve pagina di diario? Dono, fardello, salutare lei e suo fratello per l'ultima volta. Fari spenti, vecchia guardia, mentire a tutti. Che significato aveva tutto ciò? Salvare gente innocente. Ma se mia madre faceva la casalinga... E poi perchè tutte quelle pagine strappate, righe cancellate, persone indicate solo con un'iniziale puntata. Perchè? Allyson non era mai riuscita a darsi una risposta, ma sapeva, sentiva che doveva trovarla. Altrimenti non sarebbe mai riuscita a vivere in pace. Ne era certa. Guardò suo fratello, seduto alla sua destra. Il momento dell'elogio funebre si stava avvicinando e lei sapeva che Kevin non aveva scritto neanche una riga. Come si può riassumere la vita di una persona in una misera pagina? si era sentita chiedere il giorno prima. Allyson avrebbe voluto rispondere la stessa cosa che stava pensando adesso: come si possono distribuire belle parole per una persona di merda?
    In quel momento il sacerdote invitò i presenti ad alzarsi. Kevin lo raggiunse e gli si mise accanto. Cercò la sorella con lo sguardo perchè aveva bisogno del suo supporto, ma gli occhi di lei non si fecero trovare. Allyson non poteva aiutarlo, non per quello che lui avrebbe detto nei successivi cinque minuti. Ad ogni parola del ragazzo, infatti, ad ogni sua pausa, ad ogni singhiozzo che proveniva dalla gente presente - da quella gente che probabilmente neanche aveva conosciuto il vero George - Allyson non fece altro che pensare agli schiaffi presi, ai calci che Kevin riceveva quando la difendeva, alle brutte parole che si era sentita rivolgere, alle volte in cui doveva soccorrere suo padre che, ubriaco, si addormentava in giro per la città. Prima un giorno, due, la settimana. Poi tutti quanti.
    La voce di Kevin smise di farsi sentire. Allyson allora cercò il suo sguardo. Stavolta fu lei a trovarsi di fronte ad un muro. Non ha importanza rospo, ti voglio bene lo stesso...come tu ne vuoi a me. Lo so.
    Una folata di vento si alzò dispettosa nel momento in cui alcuni dei presenti lanciarono sopra la tomba dell’uomo la manciata di terra che stringevano nel pungo. Successe più volte, quasi come se George stesse dicendo loro che quello non era il suo momento, che non voleva sparire. Ad Allyson venne quasi da ridere. Mi dispiace, ma il tuo momento è arrivato eccome. La grossa manciata di terra che la ragazza teneva fra le mani venne fatta gettata con forza sopra quel contenitore di legno, avvolto dalla bandiera americana che George teneva appesa nel suo studio. -Addio.- sentenziò Allyson.
    Una volta che la bara fu fatta calare e poi coperta del tutto dalla terra, la folla accorsa per il funerale cominciò a diradarsi rapidamente. Allyson dovette districarsi tra parenti lontani e sconosciuti che si avvicinavano a lei e suo fratello per porgere loro le condoglianze e non si accorse di quell'uomo che li osservava da lontano con preoccupazione. Non si accorse neppure di quelle due figure che, sedute dentro una macchina del '67, parlavano tra loro stando attenti a non dare nell’occhio.
    -Ripetimi perché siamo qua.-
    -Siamo qua perché abbiamo un lavoro da fare. Perciò, smettila.-
    -Non capisco a cosa ti riferisci…- fece il biondino, sollevando le spalle con fare annoiato e dando un bel morso al suo hamburger.
    -A questo mi riferisco. Al tuo modo di fare seccato. È da quando siamo partiti che ti comporti come un bambino, non fai altro che lamentarti.-. Sam sbuffò, scese dalla macchina e raggiunse il lato guidatore dell’Impala, appoggiandovisi. Spostò la sua attenzione su un gruppo di persone raccolte attorno ad una buca che aveva appena accolto una bara.
    -È che sono stanco, Sammy.-.
    Sam si voltò a guardare il fratello che gli si era messo affianco, appoggiato a sua volta sulla macchina, con le mani dentro alle tasche del giubotto e una gamba piegata verso l’alto. -Lo so, Dean. Anch’io sono stanco. Gli ultimi mesi della nostra vita sono stati… un inferno.-
    A Dean scappò un verso che sapeva di risata amara mentre abbassava la testa scuotendola lievemente, per poi risollevarla. Un velo di lacrime coprì il verde dei suoi occhi. -Non potevi scegliere espressione migliore, Sam.-. Fece una pausa, durante la quale sia a lui che a suo fratello tornarono alla mente ricordi carichi di dolore, urla, sangue, combattimenti. Erano passati mesi da quando avevano fermato l’Apocalisse, ma nessuno dei due era riuscito a liberare la propria testa da quelle immagini. Certo, i loro amici più fidati erano rimasti in vita, ma molta altra gente no e molti altri non avevano potuto dare un ultimo saluto alle persone più care. Esseri umani innocenti e inconsapevoli di far parte di un grande piano di distruzione. Dean ripensò a quando credette di aver perso Sam, per la seconda volta, e provò una stretta al cuore. Quel giorno disse a sé stesso che mai e poi mai avrebbe permesso che accadesse di nuovo. Forse per questo si comportava come un bambino, perché voleva tenere il suo fretellino distante dal male. Forse per questo non voleva più cacciare. Perchè non voleva più soffrire. Perchè non voleva che Sam soffrisse ancora. Però sapeva che non era possibile. Quello era il loro compito. Si schiarì la voce, -Sam, seriamente, ridimmi perché siamo qui. Non ero attento quando mi hai parlato di questa caccia.-
    Sam sorrise a Dean, quasi a ringraziarlo. -L’uomo che è morto si chiama George Cooper, aveva 52 anni. Ha vissuto sempre qui a Blackwater, vedovo, due figli. Un ragazzo e una ragazza. Gestiva un bar e un motel, entrambi di sua proprietà, entrambi a pochi km da qui. Il primo è stato chiuso, il secondo è gestito dai figli ora.-
    -Perfetto. Sappiamo dove andare a dormire almeno. E così potremmo indagare più da vicino. Altro? Qualche particolare sulla morte?-
    -Sì, il medico legale ha parlato di infarto...-
    -Come scusa? Infarto?-. Dean lo interruppe. Rimase perplesso alcuni istanti prima di fare qualche passo e poi dare le spalle alla cerimonia funebre, ormai conclusa. Guardò il fratello dritto negli occhi, -sali in macchina, ce ne andiamo.-
    -No, Dean. Noi non ce ne andremo.-. Sam si mise davanti alla portiera del guidatore, con il chiaro intento di non fare entrare suo fratello in macchina. -C’è un lavoro da fare.-
    -Lavoro? Spiegami quale lavoro dovremmo fare, Sam, perchè io non lo vedo. Quel pover’uomo è morto d’infarto e in questo non c’è nulla di soprannaturale. Avanti, spostati e fammi entrare. Io non starò qua un minuto di più.-
    Sam permise a Dean di entrare nell’Impala, ma lui non si mosse. Il ragazzo più grande abbassò il finestrino, -ti vuoi muovere?-
    -Tu vai, se vuoi. Io non lascio la città, voglio vederci chiaro.-
    Dean guardò oltre il parabrezza, fissando per qualche attimo la strada davanti a sé. Poi con fare scocciato uscì dall’Impala. Richiuse la portiera con forza, tanto che alcuni invitati al funerale di George Cooper si voltarono incuriositi.
    -Sam.-, fece con fare arrabbiato, alzando un po’ troppo la voce. Questo non battè ciglio. Dean allora si rese conto che non valeva la pena scaldarsi e soprattutto che non aveva nessuna voglia di litigare. Riprese il discorso con fare più tranquillo, -Sammy, non c’è niente da chiarire: George Cooper è morto di morte naturale. Lo so che dopo tutto quello che è successo ti senti in dovere di salvare più persone possibili, ma qua non c’è nulla che noi possiamo e dobbiamo fare. Stai vedendo un motivo per cacciare dove non c’è, e ultimamente succede troppo spesso. Non ti pare?-
    Sam annuì con la testa. Semplicemente annuì, sorridendo triste. -Ti ricordi dopo la morte di papà? Quel caso del ragazzo che aveva trasformato la donna che amava in uno zombie? Io ero convinto non ci fosse nessun caso, ma tu sì. Tu desideravi lo fosse perché avevi bisogno di tenere la mente occupata, perché eri furioso per quello che era successo.-. Sam diede le spalle a Dean e allungò le braccia verso la macchina, appoggiandovi le mani, -anch’io mi sento così adesso, Dean. E tu, tu devi darmi fiducia. Come ho fatto io.-. Si rigirò, -per favore. Ti sto solo chiedendo di restare in zona per qualche giorno. Se non dovessimo trovare quello che cerco, ce ne andremo. Te lo prometto.-
    Dean incrociò le braccia al petto, -Sam, a me non costa nulla restare. Però tutte le vittime sono state trascinate fuori da casa da una forza invisibile nel bel mezzo della notte, e poi sono sparite nel nulla. Il corpo di George Cooper invece è stato trovato la mattina dopo, seduto sulla sua poltrona preferita.-
    -Scusa, ma non eri tu quello che non aveva prestato attenzione mentre parlavo di questo caso?-
    In pronta risposta Dean sorrise, senza replicare. Non ce n’era bisogno, Sammy lo conosceva troppo bene e sapeva che anche il suo fratellone aveva dei dubbi.
    -Forse George Cooper non ha nulla a che fare con le altre persone, però questa città, se consideriamo tutte le altre in cui c’è stata una vittima, si trova sulla figura che t’ho mostrato ieri sera. Figura... che tu.. ricordi, vero?-
    Dean ci pensò un secondo, -no. Lì veramente non ti stavo ascoltando. In tv c’era una che aveva un paio di tette che...-. Non completò la frase, permettendo ad un’espressione irriverente a al suo solito sorriso divertito di farne capire la continuazione.
    -Sì, Dean, immagino.- replicò Sam, poco entusiasta. Fece un giro attorno all’Impala, tornando quasi subito con un disegno fra le mani. -Eccola.-
    Il biondino prese in mano il foglio. -Un occhio posizionato orrizontalmente ed uno verticalmente, incrociati fra loro per formare una croce e con un’unica pupilla al centro.-. Dean guardò suo fratello, -che roba è?-
    -Non lo so. L’ho trovata a casa dell’ultimo ragazzo scomparso, Eddi Jones, e l’ho portata via. Inizialmente non capivo perchè e cosa mi ricordasse, ma poi m’è venuto in mente: i genitori della prima vittima, Mary Wilson, avevano un quadro raffigurante questa figura e il padre di Peter Mitchell teneva questo disegno dentro ad un cassetto. Quindi mi sono detto che deve per forza c’entrare qualcosa, e allora ieri sera ho provato, non so nemmeno perchè, a posizionare il disegno sopra una mappa degli Stati Uniti e mi sono reso conto che tutte le città in cui sono sparite le varie vittime si trovano sulle linee che vanno a formare i due occhi e sulle punte di questi.-
    -Sai, Sammy? Ne sono sempre più convinto: hai bisogno di guardare un paio di belle tette in telvisione.-
    Sam gli lanciò un’occhiataccia.
    -Ok, la smetto.- rise Dean. -Comunque Blackwater si troverà anche su questa figura, ma resta il fatto George Cooper aveva 52 anni e che gli altri erano ragazzi e ragazze attorno ai venticinque anni. E che i due tipi di morte sono totalmente differenti.-
    -Lo so. Ascolta... quando Bobby mi ha avvisato che c’era stato un morto qui a Blackwater io avevo già scoperto il collegamento tra il disegno e le città, e sapendo le caratteristiche della vittima avevo deciso di non venirci qui. Però poi m’è venuta una strana sensazione: tutte queste vittime, e questa figura che le collega in qualche modo, e Blackwater che ci sta sopra e che spunta nella nostra indagine per caso...- Sam fece una pausa. Poi riprese il disegno che teneva tra le mani suo fratello e si mise a guardarlo. -Forse penserai che sono pazzo, ma credo che la morte di George Cooper sia stata un segnale. Credo che dobbiamo restare qui, Dean.-
    Dean ragionò un attimo. Intuì dove voleva andare a parare suo fratello. Possibile che? -Perciò, Sammy, mi stai dicendo che...-
    -Che George Cooper non era la vittima di questa “cosa” a cui diamo la caccia e che presto ci troveremo fra le mani un altro morto, Dean. Ne sono certo.-














     
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  2. Vivaldi4love
     
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    wow, interessante, mi piace come scrivi.
     
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  3. sahany09
     
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    Ciao Barbara_Dean.
    Dò la benvenuta anche a te in questo forum.
    La tua ff promette moooooooolto bene. A quanto sembra, ti piace far litigare la gente, ma l'elemento è positivo. Anima la vicenda.
    Scherzo. :D :D
    In questa tua storia ho individuato un'altra coppia di fratelli fra i quali pare regni un buon rapporto; la madre dei due ragazzi mi suscita sospetti sulla sua vera attività e sul padre forse è meglio stendere un velo pietoso, ma per questo ci ha già pensato qualcun altro, e la componente introspettiva ti riesce bene, quindi, anche a te dico: aspettiamo il seguito.
    Complimenti. :) :)
    L'Ordine? Chissà qual è questo ordine? :mmm: E che cos'é? La cosa m'incuriosisce.
     
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  4. >milly<
     
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    moooolto mooolto interessante
    mi incuriosisce parecchio la questione del simbolo dei due occhi sovrapposti!!
    attendo il seguito!!
     
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    Benvenuta in questa sezione dedicata alle ff!!
    Davvero molto interessante la tua! Più vado avanti a leggerla e più rimango o.o!!!
    Nn vedo l'ora di leggere il prox cap!!
    Intanto ti faccio i my complimenti, scrivi molto bn!!
     
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  6. John7776
     
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    ciao e benvenuta e soprattutto complimenti mi piace tantissimo il tuo modo di scrivere complimenti ancora ;)
     
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5 replies since 29/10/2011, 17:07   159 views
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