The Gravestone Diaries

La "caccia" secondo William Gravestone by Alessandra Paoloni

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  1. Bet Grave
     
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    Titolo originale: "The Gravestone Diaries- 17 Settembre 1983, l'inizio"
    Data messa in onda: 26/09/2011
    Scritto da: Alessandra Paoloni
    Prodotto da: Supernatural Legend
    (tutti i diritti riservati)

    17 settembre 1983, l'inizio.

    Padre Breas si era procurato quella piccola cicatrice, che esibiva sotto l'occhio sinistro, durante una delle sue prime cacce. O almeno è quello che mi raccontò in seguito. Dovevo quindi supporre che mi sarei spezzato una gamba o rotto il naso, visto che quella era ufficialmente la mia prima “missione”. In realtà avevo più timore di perdere la mia sanità mentale. Cosa forse già avvenuta.
    Una cucina pulita e ordinata col lavandino in muratura. Ecco cosa trovammo una volta entrati in casa di Arthur Marshall. Le stoviglie erano in ordine, le sedie posizionate attorno al tavolo come se nessuno le usasse da qualche giorno.
    Silenzio. Troppo silenzio in quella casa. Strinsi forte il crocefisso nella mano, e lo esibii come uno scudo. Padre Breas si muoveva come fiera attenta e pronta ad attaccare. Eppure era a mani nude, completamente indifeso. L'ambiente sembrava davvero disabitato. Tuttavia Padre Breas decise di passare in rassegna tutte le stanze, sia quelle del piano inferiore che del piano superiore. Io gli stavo attaccato alle costole; ero diventato la sua ombra. Mi aspettavo da un momento all'altro di vedere sbucar fuori qualcuno armato di fucile. In fondo eravamo in una proprietà privata, niente poteva giustificare quella nostra irruzione.
    - Nulla da fare.- disse Padre Breas fermandosi sulle scale- Sembra tutto perfetto. Troppo perfetto...e quando qualcosa ti sembra impeccabile dov'è che vai a guardare?
    Fissai Padre Breas senza capire. Non mi sembrava quello il momento per mettersi a fare degli stupidi indovinelli.
    - Nelle fondamenta.- rispose lui- Si scava a fondo come se la casa fosse una tomba.
    Lo seguii mentre ridiscendeva le scale e tornava nella cucina, da dove eravamo entrati. Di tutte le stanze perlustrate non ne ricordavo nemmeno una. Guardavo le cose attorno a me ma non le vedevo. Ero troppo impegnato a non dare di matto, a restare lucido nel caso qualcosa fosse andato storto.
    - Deve esserci una porta esterna, una cantina o un garage da qualche parte.
    - E chi te lo assicura?- chiesi io.
    - Nessuno. Ma di solito è così.
    Mi mostrò un sorriso teso al quale io non risposi. Andavamo alla cieca. Bene. Non solo ci eravamo introdotti in un'abitazione privata, ma non sapevamo nemmeno quello che stavamo cercando. Se fossi finito dentro, cosa molto probabile visto come si stava evolvendo la situazione, non sarei stato in grado nemmeno di raccontare una balla in grado di giustificare quel nostro gesto. Rapinatori...ecco cosa potevamo sembrare. E rimpiansi la mia vita noiosa e tranquilla che avevo condotto fino all'incontro con quel pazzo in saio. Serate fatte di birra e tv. Le rivolevo indietro. Subito...
    E stavamo per uscire dalla porta scassinata, quando un rumore alle nostre spalle ci costrinse ad arrestare il passo.
    Adesso si che eravamo fottuti: c'era qualcuno in casa. Che ci fosse sempre stato o aveva fatto il suo ingresso in quel momento, non ci interessava.
    Non eravamo soli. Non più.
    E Padre Breas si decise finalmente a cacciare fuori, ancora una volta da qualche maledetta tasca interna del suo saio, un pugnale alla cui vista mi si gelò il sangue.
    Porca puttana...quello faceva sul serio. Si iniziava a fare maledettamente sul serio.
    - Che caz...
    Lui mi zittì con un gesto brusco della mano. Mi fece cenno poi di nascondermi tra il frigo e il ripiano della cucina in muratura. Come un ebete, impugnando ancora il crocefisso nella mano, ubbidii. Stavamo per giocare a nascondino? I miei movimenti erano lenti, impacciati. Sembravo una donnicciola spaventata. Facevo pena a me stesso.
    Padre Breas invece lasciò la cucina. Il passo felpato, sicuro, come se ora sapesse esattamente a cosa andava incontro. Sparì alla mia vista. Mi aveva lasciato solo. Figlio di puttana...
    Non seppi calcolare quanto tempo restai lì, nascosto. Forse dieci, quindici minuti.
    Il tempo necessario a capire una volta per tutte che la mia esistenza era radicalmente, inesorabilmente, cambiata.
    Per sempre.
     
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  2. Vivaldi4love
     
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    mi piace troppo padre Breas e raccontare dal punto di vista del novellino è avvincente, brava :)
     
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  3. Bet Grave
     
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    Grazie mille!!!! Anche io mi sto sempre di più affezionando a Padre Breas! :wub:
     
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  4. Vivaldi4love
     
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    ;)
    ^^
     
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  5. Bet Grave
     
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    Info
    Titolo originale: "The Gravestone Diaries- 17 Settembre 1983,la scelta"
    Data messa in onda: 1/10/2011
    Scritto da: Alessandra Paoloni
    Prodotto da: Supernatural Legend
    (tutti i diritti riservati)

    17 settembre 1983, la scelta

    Per quel lasso di tempo in cui restai nascosto tra la cucina in muratura e il frigo, pensai alla mia vita. A quanto fosse stata patetica fino a quel momento. Io, William Gravestone, ero stato un ragazzo comune senza alcun talento o predisposizione. I miei voti a scuola non erano mai stati brillanti, non ero mai riuscito a mantenermi un lavoro per più di un mese, e cosa che mi rimproverò mia madre quasi fino a prima di riposare nella tomba fu quella di non aver proseguito gli studi. Ero un fallito senza speranze né sogni. Vivevo alla giornata senza curarmi mai del domani o di quello che avrei fatto. Uno scansafatiche senza neppure l'ombra di ragazza. Una completa nullità...
    Ma, col quel crocefisso in mano ad attendere una sorte che non potevo immaginare, in fondo ero qualcuno. Un codardo disarmato si, ma almeno stavo facendo qualcosa. Mi ero introdotto in una proprietà privata con un prete pazzo. Sfido chiunque a fare lo stesso!
    Fu quella mia sciocca considerazione a infondermi quel coraggio che mi indusse a uscire dalla tana in cui mi ero rifugiato come un coniglio, e a seguire le orme di Padre Breas.
    Una delle scelte più avventate della mia vita, la prima delle più assurde...
    Nella casa c'era solo silenzio tant'è che mi chiesi se non fossi rimasto solo. Magari Padre Breas poteva essere uscito assieme a quell'Arthur Marshall ridendo del ragazzo che era rimasto nascosto nella graziosa cucina in muratura perché vittima di una burla colossale. Plausibile...o no?
    La risposta mi venne fornita subito e nella maniera più strana che potessi pensare. Ero quasi giunto a metà del corridoio quando vidi volare letteralmente Padre Breas fuori da quello che doveva essere il salotto, se non ricordavo male.
    Fece un volo esorbitante e andò a cozzare contro la parete, battendo così violentemente la schiena che credetti sfondasse il muro per finire chissà dove. Invece ricadde a terra, mezzo stramortito. La scena mi gelò il sangue ma il mio cervello fu lesto a pensare “bel volo Padre Breas, ma chi è stato a ridurti così?”. Non lo volevo sapere. Il mio coraggio s'era già sgretolato, e quello che volli in quell'istante era solo tornarmene nel mio nascondiglio buono e quieto. Troppo tardi.
    Prima che potessi muovermi o dire qualche parola disconnessa e balbettata, mi giunse all'orecchio la voce flebile di Padre Breas che mi disse:
    - Soffitta. Non cantina.
    Quelle parole, pronunciate con voce strozzata e affaticata, risuonarono in realtà nella mia testa come tamburi.
    Soffitta, non cantina.
    Avevamo sbagliato tutto fin dall'inizio.
    Soffitta, non cantina...
    Restai a guardare Padre Breas disteso sul pavimento ancora una manciata di secondi. Potevo lasciarlo lì inerme e solo? Probabilmente aveva qualche osso rotto, dovevo soccorrerlo. Tuttavia qualcosa in me mi suggerì che se solo mi fossi accostato all'uomo in saio lui mi avrebbe preso a imprecazioni. Con le ultime forze rimastegli in corpo mi avrebbe preso a calci nel sedere.
    Allora mi decisi a muovermi, e lo feci un attimo prima che Arthur Marshall uscisse dal salotto con l'intenzione di finire ciò che aveva iniziato con quel prete. E fu una fortuna per me non incrociare lo sguardo di quell'uomo...o ciò che ne era rimasto di lui.
    Soffitta non cantina.
    Una soffitta. Corsi al piano superiore anche se ricordavo di aver perlustrato già tutte quelle stanze assieme a Padre Breas. Merda. Dovevo arrampicarmi sul letto o cos'altro? Poi mi ricordai che alcune case avevano la soffitta nel sottotetto, raggiungibile da una scala che scendeva da una botola posizionata in alto. Io non avevo mai avuto una soffitta così, nemmeno da bambino quando vivevo con entrambi i miei genitori a Carson City e tutto quell'incubo era ancora lontano anni luce da me.
    Ripercorsi il corridoio a ritroso, come se dovessi tornare al piano di sotto, fin quando non la vidi. Una sezione rettangolare del soffitto più scura rispetto all'intonaco del resto delle pareti. C'era una sorta di minuscola maniglia che si notava solo se solo si prestava bene attenzione. Trovata.
    Dal piano di sotto nel frattempo non si udiva un rumore né una voce. Ma non avevo il tempo materiale per chiedermi cosa stesse accadendo lì; in situazioni estreme come quelle l'unica cosa della quale si deve tener conto era ciò che si stava per fare. Una distrazione soltanto poteva vanificare un intero piano di caccia. In seguito lo imparai bene, a spese mie e della mia famiglia.
    Dovevo arrampicarmi fin lì e tirare quella specie di minuscola manopola. Mi affrettai a recuperare una sedia da una delle stanze vicine. Di chi fosse quella camera non m'importò mai anche se l'unico particolare che notai e che ricordo, impossibile da passare inosservato, fu il poster dei Village People appeso a una delle pareti. Iniziavo a capire perché il Male avesse scelto quella casa piuttosto che un'altra...
    Posai un piede sulla sedia ergendomi in tutta la mia statura, e allungai una mano per afferrare quella dannata maniglia. Non pensavo affatto a cosa avrei trovato lì su. Era un problema che avrei affrontato in seguito. Quando tirai verso di me quella piccola serratura, delle scale di legno per poco non m'investirono cadendo giù dal soffitto; ed ebbi veramente l'impressione che la casa mi crollasse addosso. Balzai giù dalla sedia che si rovesciò, e io finii addosso alla parete dalla quale mi staccai quasi subito per salire quei gradini talmente piccoli che solo i piedi di un bambino ci entravano comodi. Una volta risucchiato da quella botola, ritirai subito la scala per richiudere il passaggio. E feci tutte quelle operazioni tenendo saldo il crocefisso nella mano. Mi ritrovai così in un ambiente maleodorante e buio. Dannato me e la fretta di chiudere la botola per paura che qualcuno poteva seguirmi!
    E fu un'altra regola che imparai della caccia: prima di intrufolarvi in un ambiente sconosciuto, accertatevi che in esso vi sia luce. Anche un insignificante lume.
    Complimenti, William Gravestone!
    Avevo appeno vinto il premio come miglior cacciatore idiota...



    nulla contro i Village People sia chiaro :D Solo William è un rocchettaro e la sua ovviamente è una battuta sarcastica -_-
     
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  6. Vivaldi4love
     
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    :lol: sì per lo meno io lo avevo capito
    Bellissimo, William è un adorabile impiastro ma lo tratteggi così umanamente bene ! Brava, molto ma molto brava! ^^
     
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  7. John7776
     
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    recuperati tutti e due i capitoli brava ale ;)
     
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  8. Bet Grave
     
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    Grazie!!! Ora che ho formattato il pc e l'ho rimesso in sesto posso proseguire a scrivere :)
     
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  9. Vivaldi4love
     
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  10. Bet Grave
     
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    Abbiamo lasciato William solo in soffitta, al buio, mentre Padre Breas se la sbrogliava con un....no vi rovino la sopresa. :P Buona lettura!!!


    Info
    Titolo originale: "The Gravestone Diaries- 17 Settembre 1983, la scelta"
    Data messa in onda: 19/10/2011
    Scritto da: Alessandra Paoloni
    Prodotto da: Supernatural Legend
    (tutti i diritti riservati)

    17 Settembre 1983, la scelta.


    Un interruttore. Pregai Dio affinché ci fosse un misero insignificante interruttore lì da qualche parte. Avanzai di un passo nel buio e vi risparmio tutte le orrende fantasie che mi si affacciarono alla mente in quel preciso istante di silenzio e oscurità.
    Volli piangere. Non mi vergogno ad ammettere che stavo per scoppiare a piangere come una femminuccia, come un bambino impaurito che la fa tra le lenzuola perché ha paura di mettere fuori un piede dal letto e arrivare la luce.
    Scoprii quel giorno cosa voleva dire la famosa frase “tenere i nervi saldi”. Per tutta la vita aveva creduto di saper tenere a bada le mie paure, e questo penso sia una cosa nella quale tutti confidano.
    Quando veniamo a conoscenza di alcuni fatti spaventosi tutti diciamo “io avrei fatto così” o “io avrei reagito diversamente, e mi sarei arrampicato fin sopra il tetto per salvare la vecchietta in quell'incendio”. Si, siamo tutti eroi tra le quattro mura del nostro cervello. Ma vivere il momento e agire è tutt'altra cosa, credetemi.
    Il primo quesito che mi venne in mente lì solo in quella soffitta buia fu: “cosa stracazzo faccio ora”.
    In un lasso di tempo che sembrò infinito dovetti scegliere tra agire o restare lì impietrito a lamentarmi della mia sorte. E ne avevo di cose da rimproverare a quel destino di merda!
    Ma non era quello il tempo, né il momento. No. Ne valeva della mia vita e prima ancora della mia salute mentale.
    Allungai una mano nel buio e scacciai dalla testa tutte quelle assurde fantasie frutto di troppi film dell'orrore visti da ragazzino contro il volere dei miei genitori. E scommisi con me stesso che in quella cantina più che con Michael Myers avrei dovuto fare i conti con la ragazzina dell'esorcista. Preferivo di gran lunga lo psicopatico serial killer di Halloween.
    Cercai a tastoni una parete. Parete era sinonimo di interruttore. Interruttore di luce. Almeno era la logica suggeritami dal mio cervello. Mi spostai da un lato inciampando col piede in quella che doveva essere la gamba di un tavolo. Trattenni un lamento di dolore. Arrivai finalmente a toccare la parete che da quella parte sembrava sprovvista di mobilio. Feci scorrere la mano lungo il muro liscio e freddo, e senza neppure accorgermene presi a canticchiare Sweet Little Sixteen per tenere compagnia a me stesso. Mio padre adorava quella canzone, come in genere amava tutti i singoli di Chuck Berry. Strano come certi particolari tornino alla mente solo in situazioni di estremo pericolo, quando la vita sembra scivolare via dalle dita.
    Negli ultimi tempi avevo preso a detestare mio padre per ciò che fece a me e a mia madre, eppure fu a lui che mi appellai in quel momento. Che razza di coglione ero?
    Quel quesito non trovò risposta perché finalmente sfiorai l'interruttore della luce. Bingo. Campane a festa nella mia mente. Lo premetti senza troppa esitazione e la soffitta fu illuminata a giorno.
    Ma rimpiansi subito il buio che per quanto possa essere oscuro e spaventoso cela agli occhi cose che sarebbe meglio non vedere.
    Nella mia soffitta da bambino, da quello che potevo ricordare, c'erano attrezzi da lavoro, vecchi mobili, addobbi di natale e alcuni numeri di Playboy di mio padre che sfogliavo con tanto di gusto e ammirazione.
    Nella cantina di Arthur Marshall non c'era nulla di tutto ciò. Vi basti solo sapere che come arredo mancava un cadavere appeso al soffitto, e poi il set di stramberie spaventose sarebbe stato al completo. Strani simboli ricoprivano le pareti, sui quali avevo passato i miei polpastrelli senza accorgermene mentre cercavo l'interruttore. Ritagli di giornale di casi di morte e omicidio sostituivano a tratti la tappezzeria. Sul tavolo addosso al quale ero andato a sbattere c'erano oggetti bislacchi, talismani, e armi da taglio di diverse dimensioni. E poi libri, una quantità infinita di libri.
    Sollevai il crocefisso quasi a schermarmi da quelle diavolerie. Ed ero ancora intento a fissarle quando qualcosa colpì la botola dalla quale ero entrato. Per poco non mi risalì il cuore su per l'esofago. Puntai gli occhi sulla fessura dalla quale ero entrato e badai bene ad allontanarmi. Bene. Ero davvero nella merda più lurida questa volta. L'istinto di sopravvivenza, o la fifa piuttosto, mi spinse ad afferrare uno dei coltelli che giaceva sul tavolo. Croce in una mano, lama nell'altra e una grande voglia di non aver mai conosciuto Padre Breas.
    La botola fu colpita ancora una volta, e poi una volta ancora. E ancora. Il mio cuore subiva ogni colpo mentre la mente mi suggeriva che sarei morto di lì a poco.
    Volevo Micheal Myers? Eccomi accontentato!
    La botola si spalancò di colpo, le scale caddero producendo un rumore inquietante e dopo una manciata di secondi che mi parvero eterni, la testa di Padre Breas s'affacciò dalla fessura.
    - Per l'amor di Dio, William! Perché non mi hai aperto?- esordì.
    E mancò poco che gli tirassi il coltello che avevo nella mano diritto nella fronte. L'uomo in saio si affrettò a raggiungermi richiudendo la botola dietro di sé. Si gettò un'occhiata attorno ma non parve sorpreso di quello che vide.
    - Ho cercato di guadagnare tempo, ma sta per arrivare.- disse- Dobbiamo bloccarlo e tenerlo qui su fino a che Padre George non mi aiuterà a ripulirlo.
    E con la parola “ripulirlo”, Padre Breas intendeva “esorcizzarlo”.
    - Poltergeist un corno!- continuò- Qua abbiamo un caso demoniaco vero e proprio.
    Io non avevo abbassato né croce né coltello e lo ascoltavo blaterare. Aveva dei lividi sul viso e sembrava zoppicasse sulla gamba destra. Padre Breas le aveva prese insomma, ma era riuscito a incastrare lo stesso “quell'uomo”.
    William posa quella roba che hai in mano e aiutami a costruire una trappola del diavolo.- mi comandò poi- Rimandiamo le spiegazioni a dopo, prima pensiamo a salvarci la pelle.
    Ubbidii. Avevo altra scelta forse? No.
    E dopotutto una decisione l'avevo già presa il giorno in cui scelsi di assecondare quel prete pazzo...

     
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  11. Bet Grave
     
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    Titolo originale: "The Gravestone Diaries- "17 Settembre 1983, la trappola"

    Data messa in onda: 09/11/2011
    Scritto da: Alessandra Paoloni
    Prodotto da: Supernatural Legend
    (tutti i diritti riservati)


    17 settembre 1983, la trappola.

    Costruire una trappola del diavolo. Oh certo. Come se sapessi cosa fosse. Non ero mai stato bravo a costruire nulla in vita mia, e il pensiero andò di nuovo a mio padre quando da bambino eresse sull'albero di fronte casa nostra una sorta di casetta sui rami sprovvista però di pareti. Infatti ricordo che inchiodò al tronco saldamente solo un'asse di legno che sarebbe servito come pavimento. Sul resto mi disse “dovrai lavorare d'immaginazione”. Dubitai che Padre Breas mi avrebbe chiesto la stessa cosa.
    Lo vidi estrarre dalla tasca interna del saio un gessetto rosso. Me lo mostrò infilandomelo sotto il naso, e mancò poco che non me lo ficcò in una delle narici.
    -Questo ti salverà la vita.- mi disse- Ricordati di averne sempre uno in tasca.
    Alzai un sopracciglio. Ovvio, un gessetto ti salva la vita. Immaginai quello slogan idiota scritto sulla confezione dei gessetti di tutto il mondo. Che stupido ero stato a non pensarci prima: volevo un lavoro? Allora perché non aprire una fabbrica di gessetti colorati salva-chiappe? Se tutti i tipi pazzi come Padre Breas ne avessero comprato confezioni intere sarei diventato a breve ricco. Ci avrei fatto un pensierino una volta uscito da lì. Sempre se fossi uscito con tutte le ossa a posto.
    Padre Breas si chinò a terra e iniziò a disegnare sul pavimento un simbolo. Prima fece un cerchio, poi prese a disegnarvi all'interno dei simboli che non avevo mai visto in vita mia.
    - Lì dentro saremo al sicuro?- domandai.
    Padre Breas mi rispose senza alzare gli occhi dal pavimento:
    - No. Questo è per quel demonio. Una volta qua dentro non sarà più in grado di uscire.
    - Ah.- fu la mia unica risposta.
    Quella poi tra tutte era la stronzata più colossale che avessi mai sentito da quando ero entrato in quel mondo di svitati. Come poteva quel cerchio fatto col gessetto da lavagna contenere un demonio? Padre Breas sembrò leggermi nel pensiero perché aggiunse:
    Ovvio che serve anche una formula, una quantità abbondante di preghiere e dell'acqua santa. Prendi nota William Gravestone, un giorno dovrai fare tutto ciò da solo.
    Si certo! Padre Breas si era totalmente, inesauribilmente bevuto il cervello. Sarei stato attaccato alla sua gonna ancora per molto, molto tempo.
    La botola fu colpita di nuovo, e questa volta sapevo ad opera di chi. Il demonio stava salendo.
    Inizia a pregare.- mi incitò Padre Breas mentre finiva la sua opera d'arte scadente- A voce alta e con convinzione.
    E io ubbidii senza nemmeno obiettare. Mi ritrovai a pregare come mai avevo fatto in vita mia. Pregai per me stesso e per avere salva la vita. Pregai Dio di uscire fuori da quella soffitta sano e salvo. Pregai tutto il Paradiso di venire in mio soccorso perché non morissi come un topo in trappola quel giorno. Pregai per non impazzire e perché in certe occasioni è l'unica cosa che resta da fare.
    Padre Breas, prima che potessi fermarlo, corse verso l'interruttore e spense la luce.
    - No!- gridai accecato dal terrore.
    Padre Breas mi intimò di non piagnucolare e lo sentii mentre si piazzava accanto a me. Buio. L'oscurità ci aveva inghiottiti di nuovo, e quel demonio sarebbe salito di lì a poco. Ma che razza di piano era quello? Poi, mentre riprendevo a pregare a voce bassa con tutta la forza che avevo nell'animo senza abbandonare quel crocefisso che solo qualche giorno prima non avrei degnato di considerazione, capii. Il demone non doveva vedere la trappola disegnata a terra, esattamente come non la vedevamo noi. Era lì, lo sapevo, a qualche metro di distanza da me. Ma il demonio no, non ne aveva idea. E questo ci poneva in netto vantaggio.
    La botola si spalancò di colpo e una fievole luce rischiarò la soffitta, ma non abbastanza forte da illuminare il pavimento.
    Mi ritrovai a pensare “dai stronzo finiscici coi tuoi fottuti piedi dentro!”.
    La figura di Arthur Marshall si delineò nella penombra e io pensai ancora “eccolo, il Male che tutti sappiamo esista ma che nessuno ha mai visto nella realtà.”
    Quell'essere emise un rantolo che per poco non mi fece cagare letteralmente addosso. Quel suono non aveva nulla di umano e non ero mai stato così vicino al soprannaturale come in quel momento.
    Gesù! Il Male esiste ed è terribilmente tangibile! E voleva farci fuori perché l'avevamo stanato, scoperto, eravamo stati più forti e furbi di lui.
    Lo sentimmo mentre faceva qualche passo verso di noi, lo scricchiolio del pavimento non mentiva. Sembrava che Arthur Marshall pesasse qualche tonnellata. Il mio cuore cessò quasi di battere o forse lo faceva talmente forte che non me ne accorgevo neppure. Buio e passi. Poi solo il buio poiché Arthur Marshall si fermò.
    Tana libera tutti. Il bastardo era in trappola. Lo dedussi dal rantolo che produsse ancora, più forte questa volta.
    Non guardarlo negli occhi.- si raccomandò Padre Breas a voce bassa- Ti dirà cose distorte e menzognere per farti impazzire. Non credere a una sola parola di quello che uscirà da quella bocca. Ricorda: un tempo era un essere umano, ma ha scelto di accogliere in sé un potere che l'ha prima consumato e poi divorato. Ora non è più lui, il demonio ha preso il sopravvento. Se la gente sapesse quanto il Male è spaventoso e folle ne fuggirebbe, anziché adorarlo. Ma non temerlo, mai. E fa' in modo che l'inferno abbia sempre timore di te.
    E si mosse per tornare ad accendere la luce. Trattenni il respiro, quasi dovessi lanciarmi nel vuoto. Chinai la testa mentre la soffitta tornò a illuminarsi a giorno.



     
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  12. Vivaldi4love
     
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    tu scrivi capolavori bellissimi e poi Breas lo adoro troppo!
     
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  13. John7776
     
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    ma perchè solo io e vivaldi ti seguiamo?? Scrivi fantastici capitoli!!!
     
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  14. Bet Grave
     
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    Rieccomi con un nuovo capitoletto di William Gravestone e di Padre Breas! E spero che questo 2012 mi doni maggiore costanza <_<


    Info

    Titolo originale: "The Gravestone Diaries- 17 Settembre 1983, la cattura"
    Data messa in onda: 09/01/2012
    Scritto da: Alessandra Paoloni
    Prodotto da: Supernatural Legend
    (tutti i diritti riservati)


    17 Settembre 1983, la cattura.

    Ci sono persone nel mondo che credono in Dio e non hanno bisogno di prove poiché sostenuti da una innata e instancabile Fede, persone che al contrario dubitano ma sperano che qualcosa esista davvero, e infine persone talmente scettiche da non credere a nulla che vada oltre la punta del loro naso. Io, almeno fino a quel giorno, non mi soffermai mai a chiedermi a quale di queste categorie appartenessi. Gli uomini sono troppo impegnati a sopravvivere e a dare un senso personale alle cose per porsi una simile domanda. Capita nella vita di ritrovarsi a pensare al divino e a pregare che qualcosa esista davvero, o alcuni fenomeni o addirittura alcune disgrazie non avrebbero senso per la nostra mente limitata. Quel lontano giorno scoprii l'esistenza del soprannaturale, e anche forse di Dio, alla presenza del Male. Nessuno mi crederebbe mai ne sono certo, in molti mi diranno che Arthur Marshall era affetto da isteria o da una malattia mentale cronica così violenta da tramutarlo in un essere spaventoso. Forse. Forse quella sua voce disumana era falsa e alterata da qualche apparecchio elettronico che si era ficcato giù per la gola. Forse quella sua forza sovrumana era dovuta a una quantità ingente di steroidi dei quali si era imbottito. Forse. Ma la paura che stavo provando era dannatamente reale, e quando Padre Breas tornò ad accendere la luce io sobbalzai e quasi lo implorai di spegnerla di nuovo. Non sollevai lo sguardo, e non perché volessi ubbidire a quel prete pazzo ma solo perché il terrore non me lo permetteva. Temevo ciò che avrei visto.
    Non ci siamo.- parlò Arthur con quella sua voce trasfigurata- Il Cielo ha mandato un padre della Chiesa e un novellino? Non ci siamo.
    Lo sentii sghignazzare e anche se non potevo ricambiare il suo sguardo sapevo con assoluta certezza che quel demonio mi stava fissando. Il Male aveva riservato tutta la sua attenzione su di me. C'era da impazzirne.
    Dimmi perché hai infestato questa famiglia!- parlò Padre Breas.
    La sua voce era ferma e sicura. Mi chiesi come facesse a dominare i suoi sensi in quel modo. Allenamento, supposi. Chissà quanti di quei mostri il prete pazzo aveva affrontato fino a quel giorno. Magari ci si fa l'abitudine dopo un po'. Combatti il Male a tal punto che alla fine diventa parte della tua vita quasi quanto la sana abitudine di lavarsi i denti dopo i pasti. Oppure anche Padre Breas fingeva coraggio e serietà.
    Il tuo amico novellino lo sa che mi sono fatto un giretto su sua madre prima di venire qui e unirvi a voi?- rispose Arthur Marshall.
    In altre occasioni non avrei esitato a prendere a pugni chi avesse disonorato così il nome di mia madre. Ma Padre Breas era stato chiaro: non dovevo credere alle parole di quel mostro. E io non abboccai. Non risposi a quella provocazione.
    Non so come apparissi in quel momento; se mi fossi guardato allo specchio forse avrei faticato a riconoscermi. I nervi del mio corpo erano tesi e la pelle del mio viso doveva essere pallida come smorta. Faticavo a stare fermo sulle gambe e sospettai che sarei svenuto di lì a poco. E senza neanche rendermene conto ripresi a pregare a voce bassa. Quelle parole, quelle preghiere insegnatemi a catechismo molti anni addietro, assunsero un nuovo significato in quel preciso momento. Erano reali, non parole stampate su un libricino da tenere a memoria come i versi di una canzone che ci si ritrovava a cantare quando non si ha di meglio da fare. Quel Padre nostro che sei nei cieli...era davvero la manifestazione di qualcosa di tangibile. Di qualcosa di immenso e portentoso. Di salvifico. Il demonio rise. Padre Breas si unì alla mia preghiera. Ed ero talmente concentrato con ogni fibra del mio corpo nel recitare quelle parole che nemmeno mi accorsi di Padre George sopraggiungere alle spalle del mostro. Lo colpì sferzandolo con dell'acqua santa e lo sentii recitare una preghiera in latino. Arthur Marshall lanciò un grido e poi s'accasciò al suolo all'interno di quel cerchio disegnato col gessetto rosso. La prima cosa che avrei fatto una volta sceso da quella soffitta sarebbe stata quella di chiedere a Padre Breas di insegnarmi a disegnare la Trappola del diavolo. Davvero quel semplice simbolo era bastato a bloccare il demonio.
    Ci hai messo troppo. Sei diventato lento.- disse Padre Breas al suo compagno in saio.
    Io cessai di pregare a voce bassa ma continuai a farlo nella mia testa.
    - Portiamolo via prima che si risvegli.- rispose Padre George con voce grave.
    Quest'ultimo non doveva avere di certo l'umorismo fuori luogo del mio mentore. Non so dire con certezza cosa fecero i due uomini al corpo apparentemente senza vita dell'indemoniato. Forse gli piazzarono rosari e ostie sacre in ogni dove per tenerlo buono, anastetizzandolo come fosse una bestia da domare. C'erano trucchetti che ancora mi erano ignoti ma avrei imparato a conoscerli presto.
    - Andiamo William, non restartene lì impalato!- mi rimproverò Padre Breas- Il nostro lavoro non è ancora finito.
    I due uomini trasportarono il corpo del mostro al piano terra. Io non chiesi neppure se volevano una mano. Li seguii tenendomi a debita distanza, senza mai posare gli occhi su Arthur Marshall o quello che era diventato. Mi aspettavo delle parole simili da Padre Breas. Il lavoro, e in modo particolare quella vita, per me era appena iniziata.

    Fuori ci attendeva un furgone scuro dove i due uomini in saio caricarono il corpo dell'indemoniato. C'erano altri preti ad attenderci dai quali ora dipendeva il destino del signor Marshall. Padre Breas mi mise a tacere prima che potessi fargli qualche domanda in proposito.
    Lo porteranno a “disintossicarsi”.- mi spiegò- Probabilmente in qualche santuario o dove comunque vi sono riunite persone in preghiera. Non sottovalutare mai la forza spirituale di una folla devota.
    E poi che ne sarà di lui una volta..disintossicato?- domandai.
    Anni di lunga terapia immagino. E forse non smetterà mai di fare del male agli altri e a se stesso. Sono anime tormentate quelle che si rivolgono al demonio, che gli lasciano uno spiraglio aperto per entrare.
    E' come un morbo.- mi ritrovai a dire- Che t'infetta la mente e lo spirito.
    Andiamo Will, ci sono molte cose che ora hai il diritto di sapere.
    Restammo a guardare il furgone che sfrecciava via sull'asfalto. Padre George era andato con loro senza neppure congedarsi da noi. Di Arthur Marshall, o di cosa gli accadde in seguito, non ne ebbi più notizia.

     
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  15. Vivaldi4love
     
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    wow, che bel ritorno ci sei mancata... e dunque questa avventura è finita... ora però Will merita spiegazioni dettagliate :)
     
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92 replies since 20/1/2011, 15:54   846 views
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