Pietà

Oneshot introspettiva by Brynhild

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    Lilith vs Sam

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    Ed ecco qua, voi m'avete provocato e mo' ve distruggo! :P

    Questo è il mio primo tentativo portato a termine di fanfiction. Siccome adoro le LUNGHE descrizioni introspettive (cosa a cui mi hanno abituato le fanfiction su Lady Oscar), ho scelto questo genere perché a me più congeniale. Perciò, se preferite qualcosa con un po' più di azione, forse questa FF non fa per voi. Comunque, anche se manca l'azione, c'è uno sviluppo narrativo, in quanto viene mostrata l'evoluzione di questi sentimenti e il modo in cui essi portano ad una decisione finale.

    Ho scelto uno dei più assenti "missing moments" del mondo delle ff di SPN, stupita che nessuno abbia mai pensato a descriverlo: il momento, voglio dire, in cui Sam si ritrova faccia a faccia con il cadavere di Dean e deve prepararlo per la sepoltura. Ho trovato ff sul "dopo", una persino sul funerale stesso, ma mai niente che ci mostrasse i pensieri e i sentimenti di Sam mentre compie quel lavoro terribile che ben pochi di noi oggigiorno fanno e che persino a Dean è stato risparmiato.

    Il titolo della mia ff è ispirato all'arte: la "Pietà" è la rappresentazione della Madonna che sorregge e piange il Cristo morto, sola o accompagnata da altri personaggi.

    Avvertenze:
    1) ovviamente, per chi non l'avesse ancora vista, SPOILER SULLA TERZA STAGIONE
    2) ho cercato di andarci leggera con l'uso di sangue e descrizione grafica della morte, ma qualcosa ho pur dovuto metterci...
    3) trattandosi di oneshot, non posso dividerla, anche se è molto lunga, quindi spero che il post non risulti troppo chilometrico.

    Critiche costruittive sono bene accette... ;)


    Pietà


    Lo guardi. E’ disteso su quel tavolo, immobile.
    Lo guardi. Hai visitato tanti obitori, nella tua vita, visto decine di cadaveri. Alcuni ridotti talmente a brandelli da chiedersi se fossero davvero umani, quei pezzi di carne. All’inizio vomitavi, poi hai finito per abituarti.
    Ma non c’è possibilità che tu finisca per abituarti a ciò che vedi ora davanti a te.
    Il corpo di Dean, disteso su un tavolo nel garage di Bobby, ancora coperto di sangue.
    Sono passati tre giorni dalla sua morte. Settantadue ore. Una vita intera.
    Tre giorni di pura agonia, tre giorni in cui hai cercato ogni mezzo, consultato ogni testo, tentato di evocare qualunque spirito celeste o infernale che potesse aiutarti a riscattare l’anima e la vita di tuo fratello. Inutilmente.
    Tre giorni in cui hai pregato e pianto e urlato contro il cielo. E il cielo non ti ha risposto.
    Ormai non hai più lacrime. Ma non per questo il dolore si è affievolito. No, è ancora lì, tutto lì, pietrificato dentro di te. Imploso in un buco nero divorante al centro della tua anima. E sai che non se ne andrà. Mai più.
    Ti passi stancamente una mano tra i capelli e per un attimo vorresti solo ubriacarti di lacrime e whisky fino a stordirti, ad annegare il tuo dolore e dimenticare di esistere.
    Ma nemmeno questo ti è stato concesso. Per ogni minuto di quelle settantadue ore la tua mente ha continuato a riproporti con spaventosa lucidità gli ultimi istanti di vita di tuo fratello. A ripercorrere febbrilmente i passi compiuti fino a quel momento per capire cosa hai sbagliato, cosa ti è sfuggito, cosa avresti potuto fare.
    Da settantadue ore hai dimenticato cosa significa dormire, bere, mangiare. Vivere.
    Come se la tua vita si fosse fermata là, sul pavimento di quella casa a New Harmony.

    Per tre giorni non hai voluto arrenderti all’idea. Fino all’ultimo hai continuato a rifiutarne il solo pensiero. Ma alla fine hai dovuto accettare la realtà: devi seppellire tuo fratello. Non puoi lasciarlo ancora su quel tavolo, in quello stato.
    Bobby ha protestato: voleva che tu lo cremassi, voleva per lui un funerale da cacciatore. Soprattutto voleva impedirti di fare sciocchezze. Sciocchezze tipo andare al primo crocevia disponibile e venderti l’anima in cambio di quella di Dean.
    Lo hai spedito via senza troppe spiegazioni, a cercare una cassa (“Una cassa, non una bara,” hai specificato: niente fodere di zinco, niente viti) in cui seppellire Dean.
    Il corpo di tuo fratello deve restare integro. Non sai perché, non sai cosa speri ancora di trovare, non sai nemmeno esattamente cosa vuoi fare. Sai solo che non sopporti l’idea della sua disintegrazione fisica. Non sopporti l’idea che sia davvero tutto finito.
    Ora siete finalmente soli, tu e lui.
    E solo ora, mentre lo guardi con occhi incavati dalla sofferenza, il pieno significato di ciò che stai per fare ti investe con la violenza di un treno in corsa.
    Il tuo stomaco si contorce. Non c’è possibilità che tu riesca mai a sentirti pronto per un simile compito. Ma tocca a te. Non è rimasto più nessun altro che possa farlo.
    Non hai voluto nemmeno l’aiuto di Bobby. Questi sono gli ultimi momenti che passi con tuo fratello, e vuoi restare solo con lui. Come per prolungare fino all’ultimo istante il vostro legame, nell’illusione che possa durare per sempre. L’illusione che ci sia ancora speranza, ancora una via di uscita.
    Afferri secchio e spugna e ti avvicini al tavolo. Ti assale un odore di carne morta e sangue stantio, come un odore di mattatoio.
    Quasi ti si piegano le gambe, e vorresti urlare che no, non è vero, non è tuo fratello, non può essere tuo fratello quel corpo massacrato disteso davanti a te, quel corpo che già sta cominciando a marcire.
    Non potrai mai essere pronto per questo compito. Ma puoi essere solo tu a farlo. Glielo devi. Almeno questo. Dean non avrebbe voluto nessun altro.
    Stringi i denti e cominci a spogliarlo con gesti lenti e pesanti, da ubriaco, da sonnambulo. La tua mente, il tuo cuore, persino il tuo corpo si ritraggono inorriditi dal pietoso e terribile lavoro, eppure le tue mani continuano a muoversi meccanicamente, liberando Dean dai suoi abiti a brandelli e inzuppati di sangue ormai disseccato. In alcuni punti il tessuto è talmente incollato alla pelle, alla carne, che devi strapparlo a forza, e ogni volta sussulti come se fossi tu a provare il dolore che il corpo esanime di tuo fratello non può più provare.
    Ti si ghiaccia il cuore nell’avvertire la pesantezza della sua testa, quando la sollevi per sfilargli il ciondolo che portava sempre intorno al collo. Quel ciondolo che gli avevi regalato tanti anni fa e che da allora non aveva più lasciato un solo istante. E’ coperto di sangue al punto di essere quasi irriconoscibile, e con un gesto improvviso lo tuffi nel secchio pieno d’acqua, strofinandolo freneticamente per togliere ogni macchia, ogni più piccolo residuo che possa ricordarti l’orrore di cui è stato testimone, prima di posarlo delicatamente accanto al corpo di Dean.
    Ti scosti dal tavolo per osservare il tuo lavoro, ansimando come per uno sforzo immane, e ti accorgi che stai tremando. Piccoli brividi convulsi che ti percorrono la schiena, le braccia, le gambe.
    Non ce la faccio, pensi per un attimo. Non posso farcela.
    Eppure devi. Per lui.
    Ti avvicini di nuovo. Ti costringi a guardare quell’ammasso sanguinolento che un tempo era il torace di Dean. Ti gira la testa mentre intuisci vene tranciate e organi interni, e devi quasi aggrapparti al tavolo per non cadere.
    Gli artigli e le zanne dei cerberi hanno infierito sul petto e sull’addome, e hanno lasciato segni anche sulle spalle, le braccia, le cosce. Solo il suo viso è intatto, per quanto spruzzato di sangue. Istintivamente allunghi una mano a toccarlo, ma la ritiri immediatamente, sconvolto dal gelo immoto della sua pelle.
    Non posso farlo... Non posso...
    Chiami a raccolta tutto il tuo coraggio, tuffi la spugna nel secchio pieno d’acqua e cominci a lavare il corpo di tuo fratello, a ripulirlo dal sangue annerito che gli incrosta la pelle, rappreso in grumi gelatinosi dentro e intorno alle spaventose ferite.
    Ma prima di tutto gli pulisci il viso dagli schizzi di sangue. Delicatamente, come tante volte ha fatto lui con te. Come nessun altro farà più.
    Passi lentamente la spugna sulla sua carne martoriata, e man mano che essa riappare, purificata dal sangue e dalla sporcizia, anche il tremito delle tue mani si placa, la nausea e l’orrore sostituiti da un sentimento di pietà e di infinita, disperata compassione.
    Lo sfiori piano, con attenzione, con rispetto. Lunghi, lenti colpi di spugna come carezze, come benedizioni, come preghiere. Lunghi, lenti gesti di una pietà antica, colmi di una tenerezza dolorosa e quasi materna.
    Perché è così, perché da quando hai memoria, tranne per quegli anni a Stanford, voi due siete sempre stati l’uno per l’altro madre e padre. E fratello, amico, compagno, confidente, tutto...
    Non è possibile che sia tutto finito. Non puoi concepire di non vederlo più.
    Mai più il suo viso.
    Mai più i suoi occhi brillanti.
    Mai più il suo sorriso ironico e rassicurante insieme.
    Mai più gli scherzi e le battute, mai più le chiacchiere davanti ad una birra e una bistecca nel solito fast food da quattro soldi.
    Mai più i Metallica sparati a tutto volume che ti massacravano le orecchie. Mai più le canzoni cantante insieme a squarciagola per tenere lontana la paura.
    Mai più i lunghi sguardi di intesa, mai più il confortevole silenzio di chi non ha bisogno di parole per capirsi.
    Nessuno più a guardarti le spalle, nessuno ad afferrarti quando cadi.
    Nessuno a cui appoggiarsi. Nessuno la cui semplice presenza riusciva a trasformare in “casa” persino la più squallida stanza di motel.
    Ora sei solo.
    Nudo e perso in una notte gelida, e non c’è luce, non c’è speranza, non c’è rifugio.
    Era lui il tuo rifugio.
    Lui la casa, la famiglia. Lui la forza che ti teneva insieme, l’unica forza che riuscisse ad impedire all’orrore che vi circondava di corroderti l’anima.
    Quella forza è scomparsa. Dentro di te, una luce si è spenta.

    Pensieri come rintocchi funebri. Parole come pietre che affondano nel vuoto aperto al centro del tuo essere, mentre passi la spugna sul suo corpo, dolcemente, lentamente, quasi volessi rimandare all’infinito il momento dell’ultimo distacco.
    Passi la spugna e riconosci ogni segno, ogni taglio, ogni cicatrice. Ognuno di essi ti racconta una storia. La storia di Dean. La tua storia.
    Eravate più uniti di quanto due fratelli “normali” potrebbero mai esserlo. Eravate fratelli d’armi. Fratelli di sangue. Quello stesso sangue che Dean ha versato per te, più volte di quanto tu voglia ricordare, fino alla fine. Quel sangue che la tua spugna sta lavando via.
    Un tremito incontrollabile ti scuote le mani quando sfiori gli squarci lasciati dai cerberi. L’orrore di quegli ultimi istanti esplode di nuovo nella tua mente con chiarezza agghiacciante.
    I latrati furiosi. Le urla atroci di Dean. La sua carne dilaniata dagli artigli invisibili, il suo sangue che zampilla ovunque sul pavimento, le pareti, i tuoi stessi vestiti. I suoi occhi enormi, spalancati e fissi. E tu che, impotente, lo guardi morire.
    Un urlo silenzioso ti lacera le viscere. Ti hanno strappato il cuore con gli stessi artigli che hanno sbranato tuo fratello. Eppure dovrai andare avanti lo stesso.
    Dovrai. Glielo hai promesso. Continua a combattere, ti ha detto.
    Combattere per chi? Per cosa?
    Non ce la faccio, Dean... Non senza di te.
    Pietosamente richiudi i lembi delle ferite, nascondendo gli organi interni oscenamente esposti. Devi ricucire gli squarci con ago e filo da sutura, e rabbrividisci al pensiero di ferire ancora quella carne già martoriata. Eppure devi fare anche questo. Anche questo.
    Perdonami, fratello.
    Non sono riuscito a salvarti.
    Non ho mantenuto la promessa.
    Ho fallito.
    Ho fallito.
    Ho fallito...

    Pensieri accompagnano i tuoi gesti, come grani di un rosario di disperazione.
    Sei vivo grazie a lui. Respiri ancora perché lui aveva deciso che la sua salvezza era meno importante della tua. Puoi ancora camminare su questa terra perché per lui saperti morto era peggio dell’inferno.
    Come puoi andare avanti?
    Vivere ogni giorno sapendo tuo fratello all’inferno. Respirare, camminare, parlare... sapendo che ogni tua parola, ogni tuo passo, ogni tuo respiro viene pagato da lui con tormenti spaventosi.
    Dannazione, Dean, come hai potuto farlo?
    Perché mi hai messo sulle spalle questo peso?
    Che cosa devo fare, Dean? Che cosa posso fare?
    Dimmelo tu, fratellone, dimmelo tu...Dimmi qualcosa, qualunque cosa, perché io non ce la faccio... Non ce la faccio a vivere così...


    Se solo qualcuno ti rispondesse.
    Dal cielo o dall’inferno, non t’importa. Fanculo le promesse, fanculo gli ultimi desideri. Saresti pronto a fare a cambio con Dean in questo stesso istante. Saresti felice di farlo. Ringrazieresti in ginocchio il peggiore dei demoni, se ti consentisse di farlo.
    In fondo cos’hai da perdere? E’ come se la tua anima fosse già loro. E’ già loro.
    Una nausea strisciante ti risale lungo la gola. Una sensazione di disgusto e ribrezzo, e questa volta la causa non è il cadavere di tuo fratello.
    Sei tu.
    Tu non sei degno del sacrificio di Dean. Forse lui stesso si sarebbe pentito di averlo fatto, se solo avesse saputo che razza di cosa sei. Se solo tu avessi avuto il coraggio di dirglielo. Dio, ti senti indegno persino di toccarlo.
    E’ da quando hai saputo di avere il sangue di Occhi Gialli dentro di te che provi questa sensazione. La sensazione di essere sporco, contaminato. Immondo, come un lebbroso. Come le cose a cui date la caccia. A cui davate la caccia.
    Lo senti, quel sangue, scorrere dentro di te, nero e sussurrante(1) come un incubo, pervadere ogni fibra del tuo corpo, un’infezione maligna che cresce giorno dopo giorno.
    A volte hai paura di guardarti allo specchio.
    Paura di ciò che sei, di ciò che potresti diventare. Di ciò che stai già diventando.
    Certe cose che hai fatto, certi pensieri, momenti di oscurità in cui la tua mente viene inghiottita dall’odio e dall’ira e dalla disperazione.
    Stai andando a fondo e non sai come fermarti.
    Solo Dean poteva farlo.
    Dean era la tua ancora di salvezza. L’unico baluardo contro questa marea montante. L’unica persona a ricordarti i tempi in cui eri ancora innocente, in cui ancora gli angeli vegliavano su di te, i tempi in cui il mondo sembrava ancora qualcosa di diverso da un eterno campo di battaglia. L’unico a ricordarti i semplici piaceri della vita: il cibo, il gioco, il sesso, le canzoni.
    Lui era la parte migliore di te, il tuo ultimo legame con ciò che eri, ciò che eravate, con i sogni, le speranze, con la tua umanità.
    E la tua umanità se n’è andata con lui.

    Quando chiudi l’ultimo punto ti rendi conto che stai tremando convulsamente, al punto che fai fatica persino a posare ago e filo. La tensione sta avendo la meglio su di te, sei esausto, prosciugato emotivamente e fisicamente.
    Ma non hai ancora finito.
    Accanto a te, ordinatamente piegati su una sedia, ci sono degli abiti puliti. Ti manca un ultimo atto, l’ultimo atto di pietà.
    Per un attimo ti fermi a contemplare il corpo di tuo fratello, disteso su quel tavolo come un modello in un’aula di anatomia, la pelle di un pallore cereo su cui spiccano, nere, le linee incrociate delle suture.
    Non riesci a distogliere gli occhi, come ipnotizzato da quel pallore.
    Era così abbronzato, un tempo.
    Quasi senza accorgertene, sollevi una mano ad accarezzargli i capelli, quella corta e ispida zazzera bionda che sembrava non stargli mai da nessuna parte. Lo accarezzi piano, sfiorandogli appena la fronte con il pollice, come timoroso di svegliarlo.
    Se si svegliasse ti tirerebbe sicuramente un pugno. Lui odiava queste smancerie da femminucce.
    “Idiota,” mormori affettuosamente.
    Stronzo, ti aspetti quasi di sentire, di rimando.
    Invece ti risponde solo il silenzio.
    Con mano tremante prendi la maglietta verde scuro dalla pila di abiti. Gliel’hai vista indossare decine di volte. Eppure ora la tieni tra le mani come fosse una reliquia preziosa. Gliela fai scivolare sulla testa, delicatamente, quasi a scusarti della tua invadenza. Dean detestava essere accudito, persino quando era ammalato.
    Ora invece è così immobile. Inerte, come una bambola. Le braccia, le gambe, la testa pesanti come piombo. Senza un fremito le lunghe ciglia scure stagliate sulla pelle bianca del viso, chiuse e ferme le labbra morbide che già hanno assunto una sfumatura grigiastra.
    Continui a rivestirlo, lentamente, faticosamente, imprimendo senza volerlo ai tuoi gesti la solennità di un rito di vestizione.
    I boxer. I calzini. I jeans.
    Ti vergogni a violare in questo modo la sua intimità, ma non puoi fare altrimenti.
    Come se a lui potesse importare qualcosa, ormai.
    Stringi i denti e sbatti le palpebre per scacciare stanchezza e disperazione. Ci sarà tempo per disperarsi, dopo. Tutta una vita.
    La cintura. Le scarpe. La camicia.
    E’ l’ultimo sforzo, ti dici. E poi sarà tutto finito.
    Il pensiero ti trafigge come una coltellata.
    Sono gli ultimi istanti che passi accanto a tuo fratello. Gli ultimi istanti per contemplare il suo viso. Gli ultimi istanti, prima di chiuderlo in quella cassa.
    E all’improvviso vorresti urlare. Vorresti fermare il tempo. Vorresti riavvolgere il nastro e tornare indietro a due ore fa, tre giorni fa, un anno fa, una vita fa.
    Vorresti riscrivere tutta la tua vita, tutta la vostra vita.
    Tutta la vostra vita come sarebbe stata, se tu non fossi stato prescelto da un demone.
    Un lampo improvviso ti attraversa la mente. E’ colpa mia, pensi, senza fiato, la gola stretta in una morsa.
    Se non fosse stato per te, tua madre sarebbe ancora viva e tuo padre non sarebbe mai diventato un cacciatore. Né tu o tuo fratello. L’orrore non sarebbe mai entrato nelle vostre vite. Nessuno sarebbe mai stato costretto a sacrificare la propria vita per l’altro.
    E’ colpa mia, pensi ancora, straziato.
    Tua madre, tuo padre, Jessica, Dean... sono tutti morti a causa tua. Perché tu dovevi essere il campione del Demonio.
    Un’ondata di nausea ti travolge. Un lungo gemito rauco ti sfugge dalle labbra, il suono di un’anima che varca le porte dell’inferno(2).
    Barcolli e ti aggrappi all’orlo del tavolo, annaspando ciecamente alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, che possa impedirti di sprofondare nel pozzo oscuro che si apre improvvisamente sotto i tuoi piedi. La tua schiena si piega, inesorabile, sotto il peso spaventoso del rimorso, del dolore, del fallimento, della perdita, della disperazione.
    Non ti importa, non ti importa più nulla. Una corda troppo tesa si spezza, e tu ti stai spezzando...
    E ad un tratto lo senti. Lì, sotto le tue dita. Unica forma solida, unica ancora di salvezza in quel pozzo di orrore e oscurità.
    L’amuleto di Dean.
    La tua mano si chiude con forza intorno al piccolo ciondolo, come si chiuderebbe intorno alle dita di tuo fratello, giunto come sempre a salvarti.
    Una luce sembra baluginare improvvisamente in fondo al pozzo, e stavolta non ti importa se si tratta del fuoco dell’inferno. Perché è lì che si trova Dean.
    Ti rialzi lentamente, l’amuleto stretto nel pugno come se ne dipendesse la tua vita. Ed è così, infatti. Dean ti ha salvato, ancora una volta. Adesso sai per cosa vuoi combattere.
    Contempli il volto di tuo fratello, così calmo, così pacifico. Sembrerebbe solo addormentato, se non fosse per quel colorito terreo che già va sfumandosi in ombre livide intorno agli occhi e alla bocca.
    Se solo potessi credere alla pace che vedi scritta sul suo viso. Se solo non sapessi che, in questo stesso istante, la sua anima sta soffrendo le pene dell’inferno. Per te.
    “Dean...” mormori con voce spezzata, le parole che si affollano sulle tue labbra tremanti; “Giuro che ti salverò. Ti tirerò fuori da lì. Non importa quanto ci vorrà, non importa quel che mi costerà, ma ti tirerò fuori. Te lo giuro, Dean... te lo giuro...”
    Un singhiozzo ti tronca le parole. Un altro. E ti accorgi di colpo che no, non hai ancora pianto tutte le tue lacrime: le vedi riempirti gli occhi, annebbiarti la vista, le senti scorrere sulle guance, brucianti come metallo fuso, e gocciolare sul viso e le mani immobili di tuo fratello.
    Ti accasci sulla sedia come un albero abbattuto, privo di radici, nascondi il viso sul petto di Dean e piangi.
    Piangi le tue ultime lacrime di bambino, lacrime abbandonate, inconsolabili. Lunghi, amari singhiozzi, le mani aggrappate disperatamente ai suoi vestiti come un naufrago sul punto di annegare, incapace di lasciarlo andare, incapace di accettare ciò che sta per avvenire.
    Piangi e non sai ancora dove troverai la forza per andare avanti. Sai solo che dovrai trovarla, in qualche modo. Perché tu non lo abbandonerai. Non lo lascerai a marcire laggiù. Questo è certo come è certo che domani sorgerà il sole. Nonostante tutto. Nonostante questo.
    Lentamente, molto lentamente, i tuoi singhiozzi si placano. Ti asciughi gli occhi col dorso delle mani e tiri su col naso, cercando di ricomporti. Sei un disastro quando piangi, anche Dean ti ha sempre preso in giro per questo. Ma non sarà più un problema, pensi con un sorriso amaro. Da oggi in poi tu non piangerai. Mai più.
    Ti porti l’amuleto alle labbra come fosse una croce o un qualche simbolo sacro, quindi lo metti al collo, quasi a suggellare il tuo giuramento, a simboleggiare l’impresa a cui hai deciso di consacrare il resto della tua vita, se sarà necessario.
    Puoi ancora avvertire la presenza di Dean impressa nel piccolo ciondolo dorato. E’ un ben misero conforto per il vuoto che senti dentro di te, ma riesce in qualche modo a comunicarti un po’ di calore, una briciola di quella forza che emanava da lui.
    Sistemi gentilmente gli abiti di Dean, stazzonati dalla tua stretta convulsa di poco prima. Gli congiungi le mani sul petto e lo baci un’ultima volta sulla fronte. “Aspettami, Dean,” gli sussurri, le labbra a fior di pelle; “Io verrò a prenderti. In un modo o nell’altro. Hai capito, fratellone? Io verrò.”
    Ti rialzi e contempli tuo fratello con un ultimo, lungo sguardo, cercando febbrilmente di imprimerti nella memoria ogni suo più piccolo particolare. Ecco il naso di Dean, la bocca di Dean, le palpebre orlate da quelle ciglia incredibili (“Come quelle di Bambi,” lo sfottevi), le sopracciglia, l’attaccatura dei capelli, quelle buffe lentiggini di solito dissimulate dall’abbronzatura, le spalle larghe e le mani forti che fin da bambino ti hanno afferrato e sostenuto.
    Ogni particolare si incide a fuoco nella tua mente. Non dimenticherai mai per cosa stai lottando. Per chi.
    Squadri le spalle, ti volti e ti avvi verso l’uscita del garage, lasciando dietro di te tuo fratello, e con lui la tua giovinezza e quel che resta della tua innocenza.
    Di fuori ti aspetta l’Impala, l’adorata auto di Dean, l’auto di cui gli hai promesso di prenderti cura. Nel tuo sguardo una fredda, disperata determinazione.
    Hai del lavoro da fare.


    (1) Bruce Springsteen, The streets of Philadephia
    (2) Colleen McCullough, Uccelli di rovo
     
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  2. sahany09
     
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    Oddio, Brynhild!!! :cry: :cry:
    Sai quante volte mi sono immaginata anch'io questa scena? Sai quante volte ho pensato proprio a quel momento che gli autori della serie hanno completamente snobbato? (forse è stato meglio!)
    E l' ho immaginata più o meno come l' hai descritta tu!
    Sto piangendo, Brynhild!
    Perché m'immagino al posto di Sam.
    Devo dirti altro?
     
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    Lilith vs Sam

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    Grazie, Sahany! Credo sia il complimento più bello che potessi farmi...

    In alcuni momenti, mentre scrivevo, piangevo anch'io, ma a forza di rileggerlo per fare le revisioni, sforzandomi di non farmi trascinare troppo, un po' di commozione se n'era andata, e temevo di non essere stata abbastanza efficace...
     
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  4. sahany09
     
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    Sei stata molto efficace, mia cara!!!!
    Straziante, direi !!
    D'altro canto, la situazione stessa era straziante. E tu l' hai resa in modo superlativo.
    Bravissima !!!!
     
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  5. crix23
     
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    bellissimo tutto, l'evoluzione dei pensieri, la forza delle parole perfettamente disposte, scrivi divinamente!!!
    davvero evocativa, fluida chiara ed emozionante!!!!
    complimeti davvero!!!!!
     
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  6. eli*dreamer
     
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    stupenda èdire poco...straziante, come sarebbe stato sicuramente straziante per Sam se l'avessero inserita nel tf...
    complimenti davvero...
     
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    Lilith vs Sam

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    Grazie, grazie!! ^_^
     
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  8. Vivaldi4love
     
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    CITAZIONE (sahany09 @ 8/8/2010, 20:41)
    Oddio, Brynhild!!! :cry: :cry:
    Sai quante volte mi sono immaginata anch'io questa scena? Sai quante volte ho pensato proprio a quel momento che gli autori della serie hanno completamente snobbato? (forse è stato meglio!)
    E l' ho immaginata più o meno come l' hai descritta tu!
    Sto piangendo, Brynhild!
    Perché m'immagino al posto di Sam.
    Devo dirti altro?

    Mi sento come la mia socia :(. Quanta desolazione sto provando... anche io immaginavo la cosa esattamente come tu l'hai descritta.
    Non ho parole per fare un degno commento.
    Sei davvero straordinaria.
     
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  9. dani61
     
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    Un viaggio interiore molto emozionante e coinvolgente - ci hai presi tutti per mano e ci hai condotti con te !!! Complimenti davvero -
     
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  10.  
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    Lilith vs Sam

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    Oddio, ragazze, grazie! "Straordinaria", addirittura? Non esageriamo! Ma siete così incoraggianti!
     
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  11. *ila*
     
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    ommioddio. non ci sono parole. :cry:
    mentre leggevo avevo le lacrime agli occhi, giuro
    che intensità, che sofferenza..che vuoto :cry:

    bravissima. . davvero emozionante.
     
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  12. Passiøn
     
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    Come me la sono sempre immaginata, solo ancora più straziante. Complimenti. Adesso non mi resta che pregare che questa sensazione di gelo intorno al cuore passi in fretta...
     
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  13. primb_halliwell
     
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    dio come sei brava/o non so i nicknames mi confondono, continua :)
     
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  14. selenewinchester
     
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    Scrivi fantasticamente!!! Complimenti e su questo tema - tanto difficile e duro- sei stata geniale. É una scena che tutti abbiamo immaginato ma pochi avremmo avuto il coraggio di scrivere. Grazie! Mi hai emozionato!!!
     
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    Lilith vs Sam

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    Grazie ancora a tutte/i!!!
     
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