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  1. Chris Winchester
     
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    Presi direttamente dal web oppue scritti di proprio pugno...





    Serie e VitaVera: le forze dell’ordine USA!
    Spesso per capire meglio le serie che amiamo occorre farsi una cultura. E’ l’obiettivo di questa rubrica, oltre che fornire una piacevole lettura da divano per il weekend.
    Poliziotti e ciambelle

    Vedremo, nelle prossime settimane, come funzionano e lavorano – nella realtà – alcuni dei settori e delle professioni in cui più spesso sono ambientate le serie: le forze dell’ordine, le forze armate, gli ospedali, i tribunali, persino le gang e la mafia. Proveremo a cogliere esempi dalle serie, contemporanee e del passato, di maggior successo. La lettura potrebbe essere abbastanza lunga, ma se amate gli Stati Uniti e volete rilassarvi un po’ fra un episodio e l’altro… beh, ci vediamo nei commenti.

    La prima puntata vorrei dedicarla alle forze dell’ordine americane, soprattutto perché la stragrande maggioranza dei procedurali e delle serie tv ne racconta la vita professionale e la routine quotidiana. Saprete che gli USA sono una Federazione di Stati, il che significa, a livello penale, che esistono reati di competenza statale (cioè di competenza dello Stato in cui vengono commessi, come la rapina o l’omicidio) e altri di competenza federale, cioè che riguardano tutti i cittadini americani (come il terrorismo, o il contrabbando). Per i primi reati sono competenti le forze di polizia statali o locali, mentre per i secondi esistono appositi corpi di “law enforcement” federali.

    La polizia statale, o locale, opera normalmente a livello di contea (l’equivalente dei nostri comuni, solo un po’ più estesi), per le città più grandi invece a livello municipale; le città sono poi suddivise in distretti, e per ciascuno di essi è competente una stazione di polizia: ad esempio in The Shield, l’Ovile era competente per il distretto di Farmington (che non esiste nella realtà, come non esiste la contea di Charming di SoA).

    A livello di contea opera il cosiddetto “sceriffo”, che in effetti somiglia abbastanza bene al tizio coi baffi e la stelletta che ci immaginiamo. Non solo si occupa dell’ordine pubblico, ma anche della gestione delle carceri, delle controversie civili, della sicurezza del tribunale, e il suo ufficio rilascia documenti e certificati come la nostra questura. Lo sceriffo viene eletto, quindi ha un suo programma politico e spesso lo fa sotto l’ombrello di un partito, o come indipendente; tuttavia i fondi di cui dispone devono essere approvati dal Consiglio di Contea. Esistono oltre 3,200 sceriffi negli USA, soprattutto in contee piccole o poco popolose, oppure in quelle contee dove la figura dello sceriffo ha un rilievo storico locale, come a New Orleans. Nella maggioranza dei casi lo sceriffo è l’unica “forza dell’ordine” in città, specie nei paesi e in alcune cittadine della Bible Belt, gli Stati centrali; a volte si fa aiutare da ausiliari, persone che per qualche ora alla settimana danno una mano a sbrigare l’ordinaria amministrazione, o le emergenze straordinarie. Non è raro che alcune contee siano del tutto prive di sceriffo, se ritengono di non averne bisogno. Altre contee, invece, hanno lo sceriffo in coma e il vice che si sbatte sua moglie mentre ammazza zombie, ma questo succede solo in Georgia.
    Polizia col Sedgeway

    Contee più grandi o popolose, e la maggioranza delle città, sono rette invece da un capo della polizia, con un ruolo più marcatamente legato a quello dell’ordine pubblico. Ma sullo stesso territorio possono operare “polizie” molto diverse: c’è la stradale, quella che ti ferma per un faro rotto quando hai un cadavere nel bagagliaio; esistono corpi di polizia che pattugliano i porti (chiedere a McNullty di The Wire), i cantieri, le scuole, le ferrovie, mentre le riserve indiane (quasi 600) hanno diritto a una loro speciale Polizia tribale; in Stati popolosi come la Florida esistono oltre 400 agenzie diverse, e quasi completamente indipendenti, che spaziano dal pattugliamento delle paludi al controllo nella commercializzazione degli alcolici, la Miami Metro Police di Dexter è solo una delle tante. Diverse università private dispongono di un dipartimento di polizia dedicato, così come numerosi distretti scolastici, musei, parchi naturali: attenzione, non sono agenzie private di security, ma vere e proprie micropolizie dedicate, indipendenti, finanziate dall’ente che proteggono, e che devono aderire agli standard del dipartimento statale competente. In questo bailamme, non è raro che agenzie nuove vengano fondate, cancellate, fuse o trasferite, e c’è da credere che i conflitti di competenza che così spesso troviamo nelle serie tv accadano realmente ogni giorno; questo senza dimenticare che nei dipartimenti di polizia più grandi, come quello di New York (oltre 40,000 agenti), esistono unità dedicate ai reati più delicati o pericolosi, o semplicemente “attrezzati in maniera diversa”: dalla SVU (esiste davvero), ai crimini sessuali (la mitica “buoncostume” dove uno veniva sbattuto per aver fatto qualcosa di sbagliato) passando per gli SWAT, la polizia in motocicletta, quella in bicicletta, gli artificieri, gli HAZMAT per le minacce biologiche o radiattive, e la graffitti, che rincorre i ragazzini che disegnano sui muri. E se la combini grossa, potresti unirti agli agenti che regolano il traffico (non esistono infatti “vigili urbani” negli USA). In tutto sono quasi 16.000 i diversi dipartimenti di polizia americani, che operano in totale (o quasi) autonomia, e danno lavoro a circa un milione di poliziotti.

    Inoltre, la polizia non è “polizia” dappertutto: ad esempio in Texas, Arizona e Colorado si chiamano Rangers, perché questo era il loro nome anche prima che entrassero a far parte degli USA e vedi di ricordartelo se no sono calci rotanti sulle gengive; mentre in New Mexico c’è la Polizia a Cavallo (si chiama così, ma non va davvero a cavallo, esattamente come i Carabinieri non vanno in giro con la carabina). Hanno le stesse funzioni della polizia, ma una tradizione e un nome nobili da preservare. Però, non è che per diventare Ranger il percorso sia diverso da quello per diventare poliziotto. In entrambi i casi, esiste un’accademia, in genere una per ogni Stato o dipartimento più grande, nel quale i novellini passano dai sei agli otto mesi, sottoposti ad un addestramento intenso: sveglia alle 5, esercitazioni fisiche, con armi da fuoco (serve una precisione del 90%), prove di guida e sul campo, più un set completo di “corsi di comportamento” per affrontare le situazioni più disparate, dal pazzo sul cornicione fino alla vittima di stupro; il multilinguismo è un altro requisito importante, per farsi capire dalle minoranze etniche. Durante l’addestramento, le reclute ricevono un “piccolo” stipendio di 1,400 dollari circa, oltre al vitto e all’alloggio.

    I poliziotti americani girano armati, in genere con un calibro .38 nella fondina e un fucile a pompa nell’auto. A noi potrebbe sembrare esagerato, ma le armi da fuoco sono estremamente diffuse negli Stati Uniti (guardatevi Bowling a Columbine se volete farvi un’idea), fra i civili, come fra i delinquenti: nel 2007 erano in circolazione 9 armi da fuoco ogni 10 abitanti. In alcuni Stati del Sud, i poliziotti sono autorizzati a sparare a un sospetto che resiste all’arresto; in numerosi Stati, chi uccide un poliziotto va incontro alla pena di morte. Comunque, per ridurre l’escalation di violenza, numerosi poliziotti sono dotati di taser (una specie di “pistola elettrica” originariamente adottata per stordire il bestiame) oppure di Mace, uno spray immobilizzante abbastanza aggressivo.

    Quanto prende un poliziotto americano? Secondo i dati del 2010, un agente semplice riceve in media fra i 49 e i 61.000 dollari l’anno (37-46.000 euro); non sono pochi, se si considera che le tasse sul reddito negli USA sono estremamente basse, e la paga spesso integrata da bonus e straordinari. I vantaggi finiscono qui: oltre alle consuete 40 ore di lavoro, i poliziotti (come la maggior parte dei lavoratori dipendenti americani) dispongono di 12 giorni di ferie all’anno (in italia sono 30) e 12 giorni di festività; la malattia è riconosciuta, ma le spese mediche sono coperte dal dipartimento solo per il 35% circa (a meno che la malattia non dipenda dal lavoro stesso). La pensione arriva obbligatoriamente a 55 anni, ma puoi andarci anche con 20 anni di servizio (borbottando “I’m too old for this shit”). L’entità della pensione dipende dal tipo di fondo scelto (ne esistono numerosi anche in un settore convenzionato come quello della polizia) ma oscilla fra il 50% e il 70% del salario finale.

    Ultima considerazione economica: gli USA saranno anche la patria del capitalismo, ma è raro che il capo della polizia guadagni più di 3 volte lo stipendio di un poliziotto semplice. In Italia, il capo della polizia Manganelli riceve 621.000 euro l’anno, quasi trenta volte lo stipendio di un agente semplice.
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    Edited by Chris Winchester - 27/5/2012, 13:19
     
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    molto bello ..nella fonte mi sono andata anche a leggere i commenti dove ci sono altre info molto interessanti :)
    grazie Boss :)

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    Ultima considerazione economica: gli USA saranno anche la patria del capitalismo, ma è raro che il capo della polizia guadagni più di 3 volte lo stipendio di un poliziotto semplice. In Italia, il capo della polizia Manganelli riceve 621.000 euro l’anno, quasi trenta volte lo stipendio di un agente semplice.

    eh ti pareva! ...sarei curiosa di sapere chi fà il listino "stipendi" e su quali basi .
     
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  3. Chris Winchester
     
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    Television 101: Cliffhanger!
    Benvenuti su Serialpedia, la rubrica che si propone di mettere un sacco di nozioni sul mondo dei telefilm in un calzino e usarlo per picchiare gli sceneggiatori di Pretty Little Liars finché non perdono i sensi! Questo è Television 101, il dizionario del gergo telefilmico made in Serialmente che permette a noi di continuare a essere snob e pretenziosi usando espressioni come reaction shot e cold open e a quelli di voi che ancora non vivono in simbiosi con TV Tropes (ma davvero, come fate?) a sapere finalmente di che cavolo stiamo parlando.
    Lo so che detto così sembra inutile e autoreferenziale, ma aspettate di dire “blooper” in presenza di una sbarba il sabato sera in birreria — ci ringrazierete la domenica mattina if you know what i mean.

    Il termine del giorno è CLIFFHANGER

    È stagione di cicliche conclusioni, chiusure affrettate e cancellazioni improvvise, quindi il periodo giusto per spiegare uno dei più grossi spauracchi di noi spettatori seriali: il cliffhanger, cioè quel colpo di scena con cui si chiude una stagione che ci terrà in sospeso tutta l’estate, se la serie è stata rinnovata, o per sempre. Intendiamoci, come espediente narrativo può essere usato anche da una settimana all’altra, ma è quando precede le lunghe pause che fa veramente male e rende dolorosamente esplicito il suo significato.

    SIGNIFICATO DEL NOME: «Cliffhanger» significa, letteralmente, «appeso alla scogliera». Il termine fa riferimento a tutte quelle scene cinematografiche in cui un personaggio sembra cadere in un precipizio e invece riesce miracolosamente ad aggrapparsi a una roccia, lasciandoci col fiato sospeso nell’attesa di capire se cadrà o se riuscirà a salvarsi. Ovviamente la parola delinea situazioni molto meno letterali, e la letale incertezza è spesso tutta dello spettatore.

    ESEMPI:

    Quasi tutte le serie sfruttano, prima o poi, l’espediente: serve a creare attesa nello spettatore e a garantirne il ritorno per l’episodio o la stagione successiva. Gli esempi sono, per forza di cose, molto limitati ad alcuni cliffhanger famosi o alle serie che ne fanno un uso massiccio e sconsiderato.

    24. A causa della sua famosissima struttura – ogni stagione è composta da 24 episodi e copre un arco narrativo di esattamente 24 ore, un’ora per episodio –, 24 è una serie estremamente adrenalinica e conclude ogni episodio con un cliffhanger, a cui si ricollega immediatamente l’episodio successivo.

    Lost: We have to go back. In Lost ci sono più cliffhanger che personaggi, ed è una serie con molti personaggi. Ma quel Jack barbuto e disperato che urla a Kate «We have to go back» resterà incollato nella nostra memoria ancora per qualche anno. Dopo due stagioni di struttura a flashback, arriva il momento dei flashforward, in cui ci viene spiegato che i protagonisti sono riusciti, in qualche modo e con risultati imprevisti, a fuggire dall’isola. Jack, tormentato dalla sindrome del sopravvissuto e dalla costante impressione di non aver “finito” con l’isola, decide che devono tornare tutti indietro. Kate non la prende benissimo, e lascia tutti noi con un gigantesco «cos’avrà voluto dire» a forma di punto interrogativo.

    Supernatural. Alla fine della prima stagione i fratelli Winchester ritrovano il padre. Peripezie, lotte, possessioni demoniache: mentre Sam guida disperato l’Impala verso l’ospedale con Dean morente sul sedile di dietro un gigantesco tir, guidato da un camionista posseduto, distrugge la macchina. È la scena che conclude la stagione.

    Grey’s Anatomy: Izzie o George? La quinta stagione si conclude con entrambi i personaggi in punto di morte, Izzie per il cancro al cervello più fortunato del mondo (quello che ti fa credere di fare sesso con Jeoffrey Dean Morgan) e George per essere stato eroicamente investito da un autobus. Tre elementi hanno contribuito a rendere l’esito decisamente poco interessante: 1) entrambi i personaggi erano diventati insopportabili; 2) era noto che la svolta narrativa era stata imposta dall’abbandono del cast da parte dei due attori; 3) T.R. Kinght (George) non era presente durante le riprese del finale, quindi con la scusa dell’incidente hanno usato al suo posto un attore bendato da capo a piedi.

    Dallas: Who shot J.R.? Cliffhanger storico di una serie storica che, storicamente, concludeva ogni stagione con un cliffhanger, tornata recentemente di attualità ora che TNT ne ha prodotto un sequel.

    Battlestar Galactica. Parecchi i cliffhanger, lo sappiamo bene, quindi scegliamo un esempio a caso: la prima stagione si conclude con Boomer che spara al comandante Adama, costringendoci a uno stato di ansia isterica per mesi.

    Veronica Mars. Questo lo chiameremo shipper-cliffhanger, una delle forme di cliffhanger più dolorose. Dopo i tumulti dell’ultimo episodio della prima stagione, che porta all’arresto di Aaron Echolls per l’omicidio di Lily, Veronica apre la porta di casa e si trova davanti… chi? Logan o Duncan? Inferno di incertezza estiva. Il season premiere della seconda stagione riesce a risolvere il tutto con il classico colpo al cerchio e colpo alla botte, scontentando praticamente tutti.

    Vabbè, sono un po’ stanca e in rete si trovano elenchini più completi, andate avanti voi: quali cliffhanger avete sofferto di più? Mi raccomando, segnalate bene all’inizio del commento a che serie e a che stagione vi riferite in modo da avvertire chi non vuole essere spoilerato!
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    Al primo posto ci metto sicuramente la 3×22 di “CHARMED”, probabilmente perché ancora non sapevo cosa significasse cliffhanger e soprattutto perché era uno dei primo telefilm che mi creó dipendenza seria. D’altronde fu un cliffhanger-one coi fiocchi, anche perché ai tempi, per gli spoilers ci si poteva affidare più che altro a Pops e Cioè haha. Mado’, Prue e Piper morte e Phoebe intrappolata negli inferi, e sebbene inizialmente tutti pensammo si sarebbero salvate tutte e due (Piper e Phobe), boom!!!!! 4×01 o.O Che poi, fu abbastanza ben strutturata anche la 5×23, l’arrivo del misterioso Chris, Leo ‘scoppiato’ e Piper nel baratro psicologico.
    Al secondo posto la 4×22 di “SUPERNATURAL”, insomma l’arrivo di Lucifero mi ha tormentato l’estate.
    Terzo posto la 1×23 di “LOST”, assolutamente miglior cliffhanger di tutta la serie, anche se tutti lo sono stati a modo loro.
    Quarto posto la season final 5 di “GREY’S ANATOMY”, assolutamente perfetto, sarà che ho amato troppo Izzie e George.
    Quinto posto tutti i finali di “ALIAS”, assolutamente perfetti, anche se fondamentalmente ogni episodio era un cliffhanger.
    Sesto posto per “TVD”, stupendo il “hello John, goodbye John”.
    Settimo posto per il bellissimo cliffhanger 3×22 di “FRINGE”.
     
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    Perfection

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    A me sono piaciuti questi cliffhangers:
    1) SPN 1x22-2x22-3x16-4x22-7x23.
    2) NCIS 7x24-8x24-9x24.
    3) NCIS Los Angeles 3x24.
    4) Dexter 4x12-6x12.
    5) TVD 1x22.
    6) Nikita 2x23.
    7) Buffy 2x22-5x22.
    8) Angel 1x22-3x22-5x22.
    Poi, ce ne sono altri ma ci devo pensare.

    Edited by Euclys81 - 28/5/2012, 20:27
     
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  5. Chris Winchester
     
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    Scusa, non hai messo neppure un finale di Charmed?
     
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    Perfection

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    Non mi ricordo tutti i finali charmediani. Sorry.
     
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  7. Chris Winchester
     
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    ahhaah -.-
     
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  8. DeanLover
     
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    CITAZIONE
    Benvenuti su Serialpedia, la rubrica che si propone di mettere un sacco di nozioni sul mondo dei telefilm in un calzino e usarlo per picchiare gli sceneggiatori di Pretty Little Liars finché non perdono i sensi!

    :laughing: :laughing:

    :mmm: io ho poca memoria quindi ne ricordo davvero pochi di cliff
    quelli che mi ricordo e che mi hanno sconvolto sono
    -Season finale della prima di SPN,
    -" " della seconda, terza e quarta di Breaking Bad,
    - " " sesta di Dexter,
    - " " terza di The Mentalist,
    poi non ricordo se i cliff in ER (che ricordo io) erano in episodi o erano proprio il lseason finale però ci sta e pure Alias
    bon mi ricordicchio solo questi ma ce ne saranno stati tanti.
     
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  9. Chris Winchester
     
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    Nemmeno tu mi inserisci Charmed. ma
     
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  10. Chris Winchester
     
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    Downloading the dream – Spot!
    c’è un fraintendimento molto comune quando si parla di pubblicità. si pensa cioè che l’efficacia di uno spot si misuri su quanto è bello/convincente/riuscito. per sé. lo si guarda e ci si sente di dire chi si farebbe convincere da una cosa del genere? dopo una pubblicità simile non comprerò mai quel prodotto, chi è il cretino che ci può cascare? etcetera.

    non funziona così. lo scopo principale di chi costruisce un messaggio pubblicitario è di farvelo vedere, poi il quanto ed il come quello spot funziona è un automatismo percentuale. certo, ci sono spot più riusciti ed altri meno riusciti, ma grossomodo se uno spot lo vedono in cento la percentuale dei persuasi all’acquisto è quasi una costante. è quindi più importante che lo spot lo vedano in mille che riuscire a convincere lo zerovirgola in più di quei cento lì.

    il mantra non importa come se ne parli purché se ne parli ha lo stesso identico fine, uno spot ben fatto, o anche una provocazione, hanno l’obiettivo di fare vedere un messaggio pubblicitario a più persone possibile, non di convincerne più che si può.

    è una semplificazione, ma mi pareva utile sgomberare in campo da uno dei grandi equivoci della pubblicità televisiva. al netto degli indici che misurano il quanto ognuno vede uno spot o dopo quanto se ne stufa, lo sforzo maggiore è quello di non far cambiare canale al telespettatore, non di convincerlo del prodotto. la persuasione segue altre più subdole strade della nostra mente e funziona spesso ben al di là del messaggio, allo stesso modo per cui in libreria i clienti tendono naturalmente ad acquistare da un bancone i libri posti in una pila più alta fino a pareggiare le altre.

    come ho accennato qualche settimana fa, nella programmazione televisiva statunitense la pubblicità è tanta, tantissima. a seconda del tipo di programmazione [premiere, repliche, fiction, diretta, documentari] la quantità di spot varia fra i quattrodici ed i ventisette minuti all’ora [!!!]. una cosa salta però immediatamente all’occhio, mai e poi mai un blocco pubblicitario viene avvertito come una interruzione [né tantomeno qualcuno si sognerebbe di chiamarla così in onda, come accade in italia]. il blocco pubblicitario è una delle variabili del processo creativo, la televisione, che sia diretta o differita, è pensata, costruita in funzione degli spot. mad men ha rischiato di chiudere due anni fa anche perché matthew weiner si rifiutava di perdere tre minuti ad episodio [passando da 47 a 44] per consentire alla rete di inserire tre minuti in più di pubblicità. in italia avrebbero semplicemente infilato un blocco a caso e fatto sforare l’ora canonica di messa in onda, una soluzione negli stati uniti semplicemente inimmaginabile. per ragioni artistiche, per ragioni tecniche [qui lo sforare non può esistere], per ragioni di punteggiatura televisiva, grammatica del mezzo.

    mediamente lo schema orario per quel che riguarda la fiction è abbastanza semplice. non c’è mai pubblicità fra due programmi, ma ogni serie è scritta in modo da avere un incipit di un minuto al massimo prima della sigla, poi un blocco pubblicitario, l’inizio vero e proprio dell’episodio, dalle quattro alle sei interruzioni, un blocco finale prima dell’epilogo. insomma, una valanga di spot che sui programmi di venti minuti [animazione e sit-com] incide ancora di più, non tanto per la durata che in percentuale è la medesima, ma perché le interruzioni son davvero ravvicinate. in particolare per le sit-com si hanno spesso i trenta secondi iniziali ed i trenta secondi di epilogo separati dal resto dell’episodio da interruzioni lunghe fino a quattro minuti.

    mentre in italia siamo abituati ai tradizionali tre blocchi dalla durata pressoché omogenea e quasi sempre alla stessa ora, cosa che ci consente di andare in bagno o in frigorifero sapendo che non ci si perderà nulla, negli stati uniti i blocchi sono irregolari in durata. molto irregolari. ce ne sono mono-spot, da trenta secondi, ce ne sono di lunghi fino a sei minuti. lo spettatore di serie tivì inoltre ama vedere i trailer di altre serie. ci sono dunque blocchi composti da soli trailer o teaser di altri programmi con uno ed un solo spot commerciale nel mezzo, per aumentare la percentuale di quanti lo vedranno.

    si usano voiceover degli stessi protagonisti delle serie o loro imitatori durante la serie stessa per indurre chi guarda ad indugiare prima di rendersi conto che è partito un blocco. quei secondi di incertezza son tutti secondi di pubblicità che si seguono con attenzione. non dico che a questo punto funziona come una sorta di suggestione subliminale ipnotica che ti costringe ad acquistare un determinato prodotto, ma se una pubblicità non vi fa un effetto alcuno probabilmente non eravate nel target. nemmeno vi si contava all’inizio, quando si è cominciato a pensare quello spot lì. insomma, la pubblicità non solo funziona, ma vi stupireste nel vedere l’elenco di cosa meglio funziona rispetto ad altro.

    ci sono poi esperimenti sempre più vari per cercare di tenere attaccato il pubblico al divano senza soste. ci sono canali che realizzano una sorta di spin-off delle serie, pochi secondi con i protagonisti di ciò che si stava guardando nascosti fra uno spot e l’altro in modo che non si cambi canale nella speranza di intercettarne si nuovi. sono brevi promo spesso fatti in collaborazione con gli autori stessi delle serie e sono un ulteriore motivazione a non sfiorare il telecomando.

    a tutto questo si aggiunga che qui i canali come li immaginiamo e cui siamo abituati noi non esistono. non ci sono la abc, la nbc, la cbs, etcetera. ci sono canali locali, reti consociate che ritrasmettono un numero prestabilito di ore di programmi di un network. questo comporta tutta una serie di complicazioni altre, come il fatto che le tivì locali vendano pubblicità locale che deve stare all’interno dei blocchi della pubblicità nazionale. tutto fila abbastanza liscio finché non si tratta di sport, con durate cioè che non sempre possono esser prestabilite al secondo. accade quindi che allo strazio della pubblicità a ripetizione si aggiunga quello di spot tagliati ciascuno dei cinque secondi finali, così, a vanvera, pur di farceli stare tutti [sempre a dimostrazione che non serve che vi convincano, basta che siate lì a guardare il marchio].

    e per non subire tutto questo si deve pagare. si paga la tivì di amazon, si paga itunes, si paga il famigerato tivo e gli assimilati, quei videoregistratori cioè che consentono di guardare la tivì senza gli spot. con un canone mensile che a seconda dello stato in cui ti trovi varia dai diciannovedollarienovanta ai ventinovedollari, semprenovanta, registri quello che ti pare e l’aggeggio fa da solo il taglia&cuci. e la pensata non la han certo avuta gli inventori del tivo, è che quando è stato lanciato tutte le reti si son messe assieme e gli han fatto causa sostenendo che togliere la pubblicità è illegale. nel dubbio che potesse davvero esser così deciso e poco propensi a sfidare gli uffici legali più pagati del nordamerica ci si è messi d’accordo per un canone da cui mangian tutti un pochetto. ed è solo per quello che puoi avere una tivì commercial-free. certo, in differita.

    insomma, è uno sfinimento, ve lo assicuro, mi è capitato di cronometrare diciassette secondi fra un blocco pubblicitario e l’altro. e diciassette secondi sono un attentato alla pazienza di giona, sempre che fosse davvero lui il tipo quello molto paziente. quel che stupisce, devo ammetterlo, è che dopo qualche mese subentra una qualche forma di assuefazione/rassegnazione/adattamento. non saprei nemmeno come chiamarlo. non so se sia una resa, se in fondo la qualità media degli spot, che è altissima, abbia un suo peso, se il percepirla non come oggetto estraneo ma connaturata alla tivì stessa modifichi la fruizione del mezzo televisivo. fattostà che da un certo punto in poi i blocchi li percepisci anche quando non ci sono, quando hai preso un programma da amazon o hai usato il tivo per toglierla tutta. vedi una serie, un programma, e sai dove avrebbero dovuto stare e non dico che ti manchino, ma è la dimostrazione di come si sia riusciti a farli diventare parte integrante del ritmo narrativo, del racconto. ed a suo modo, posto che no commercial, no party, è anche questo un indice di qualità.


    Dalla parte del divano – Annoiarsi!
    Bentornati a ‘Dalla parte del divano’, la rubrica che non ha paura di dire le cose scomode sul mondo patinato delle serie tv ma poi, se chiedete in giro chi è che ha detto quelle minchiate, alla fine nega tutto dando la colpa a qualcun’altro. La prima cosa scomoda di oggi è: How I met your mother è ancora una BOMBA! La seconda cosa scomoda di oggi è: quando coach Taylor va ad allenare East Dillon, Friday Night Lights diventa bruttino. La terza è: se Holder e Linden in The Killing alla fine trombano, io smetto di vedere la serie e cerco, a forza di capocciate contro il muro, di eliminare dal mio cervello tutti i ricordi della prima stagione. Ma la cosa scomoda che dà il titolo alla puntata è: a volte le serie, o alcune puntate, sono noiose, noiosissime.

    E che si fa quando accade una disgrazia del genere? Semplice: un sublime paradosso. Il concetto di noia è sempre stato presente, in maniera trasversale, nel pensiero di un sacco di noiosissimi studiosi e filosofi degli ultimi duecento anni. Leopardi diceva che la noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani, poi però nelle lettere a Pietro Giordani confessa che la gente lo prende in giro dandogli del “saccentuzzo” e si annoia un sacco.

    Moravia, sull’onda del romanzo esistenzialista, ci scrive pure un intero pippone sopra, un monologo interminabile di un tal Dino che ha troppi soldi e troppo tempo libero per divertirsi e, per questo, si annoia di brutto. Anche il Califfo, con il suo capolavoro, ammette la noia anche nelle sue continue conquiste femminili a Roma e dintorni.

    Come dire: la noia è qualcosa non direttamente legata all’effettiva attività che la procura, piuttosto alla reiterazione della stessa che, ripetuta all’infinito, si svuota di ogni significato diventando un guscio vuoto. E l’unico modo per superare una cosa così trasversale è spezzarla col paradosso: annoiarsi di annoiarsi. Un po’ come quando i Ghostbusters (o gli adolescenti maschi che vanno in bagno insieme) incrociano i flussi e spaccano tutto. Che noia la noia! Annoiamoci di annoiarci!

    Se una serie vi annoia, infatti, di certo non vi annoieranno LE serie. Allora non bisogna aver paura di spingere stop, rimettere tutto nel proprio disco fisso esterno e cominciarne una nuova. D’altra parte in America ne producono tipo una diversa al giorno, perché non sfruttare la cosa.

    L’INTEGERRIMO

    L’integerrimo NON. PUO’. NEMMENO. LONTANAMENTE. PENSARE. di abbandonare una serie e, che gesù ci salvi, una puntata a metà. Deve guardarla tutta, perché gli sembra un insulto gravissimo nei confronti degli sceneggiatori/produttori/attori. Il problema è che si annoia comunque, delle volte, e si vede obbligato a trovare dei passatempi per farsi passare meglio quei 43 interminabili minuti. E’ tuttavia un po’ difficile inventarsene di veramente efficaci, oltre all’imparare a memoria tutte le ossa dei propri piedi e osservare la schiuma della birra che svanisce poco a poco.

    IL DANIEL PENNAC

    Daniel Pennac (per chi non lo sapesse il suo vero cognome è Pennacchioni) ha scritto gli ormai tristemente famosi diritti del lettore con perle di acume e originalità come ” Il diritto di non leggere” o “Il diritto di leggere qualsiasi cosa.” Orbene, tra questi dieci comandamenti c’è il diritto di non finire il libro. Il nostro ruolo attanziale, dopo aver affisso al muro una stampa anastatica del sopracitato decalogo, ha preso troppo alla lettera lo scrittore francese e appena c’è un qualsiasi dettaglio che lo infastidisce in una serie tv, lui spinge stop e passa alla prossima. Pensate, è riuscito a guardare tutta la prima stagione di Boardwalk Empire senza addormentarsi (e senza vederne neanche un fotogramma).

    IL DUBBIOSO

    Il dubbioso è terrorizzato nell’interrompere a metà la visione di una puntata. Perché magari tra 5 minuti succede una figata, io me la perdo e i miei amici all’aperitivo mi prendono in giro. Allora nella sua testa si innesca un loop infinito di indecisione, punteggiato dal pensiero ricorrente “dai, ancora una scena e poi cambio” ma alla fine non cambia mai. Perché il cliffhanger è sempre dietro l’angolo.

    L’ADDORMENTATO

    In questo caso l’interruzione della visione non è volontaria ma causata da una leggera forma di narcolessia che, passate le 22.00, lo condanna a una calata di palpebra costante nonappena la trama o i dialoghi rallentano un attimo. Appena si risveglia, allora, l’addormentato manda indietro per rivedere le scene che ha appena dormito ma, durante il rewind, si assopisce di nuovo, ritrovandosi all’inizio. Allora spinge forward ma si addormenta di nuovo e si cucca solo i titoli di coda. Poi riprova e così via.

    E voi? Quali sono le serie che vi annoiano di più? Evviva il poco rispetto per il lavoro degli altri! Evviva Don’t trust the bitch on apartment 23!


    Downloading the Dream – lo share dello shooter
    nelle serie tivì scorrazzano affamati appena ci scappa il morto. son quei furgoncini con l’antennona sopra, quelli de ‘il circo mediatico’. e tutti noi che alla fine l’immaginario degli stati uniti ce lo siam formato soprattutto con la televisione ci siam fatti questa idea di un popolo che si nutre di cronaca e dolore a reti unificate. ed invece proprio no.

    il pregiudizio forse più profondo che si ha nei confronti di questo paese è quello di considerarlo una nazione, perché poi, simboli a parte, nel quotidiano si vive entro i rigidi confini del proprio stato. e quando vedete una serie tivì o un film e pensate che dopo un po’ la quantità di omicidi, serial killer, stragi minacciate o reali vada a discapito della credibilità, state invece mettendo in discussione forse l’elemento meno discutibile dell’equazione. nel senso che qui ogni giorno accade di tutto, ma quel che esce dalle pagine locali, quel che supera le giurisdizioni o l’oceano addirittura, è davvero poca roba.

    il fatto è che il circo mediatico inteso come interrompiamo le trasmissioni e sedetevi tutti sul divano che per tre giorni non si parla che di questo, non esiste, è qualcosa di più unico che raro ed in genere avviene quando la notizia tocca prima che le persone un qualche simbolo fondante degli stati uniti, qualcosa che li incarna nel profondo. o che in questo modo può esser raccontato.

    le ragioni della natura quasi esclusivamente locale del quotidiano, anche nell’informazione, sono due. l’approccio alle fonti ed una questione di fondo ovvero l’etica giornalistica ed il rating di una notizia.

    la quinta stagione di the wire raccontava magistralmente il giornalismo iuessei nella prassi quotidiana, anche se in fondo ogni volta che in tivì compare una redazione fatta di tanti reporter, ognuno a dir la sua al caporedattore, noi si sorride. sembra una cosa tanto d’altri tempi e lo è senz’altro rispetto a quel che è diventata la giornata di un giornalista medio in italia, giornata fatta di lanci di agenzia e di redattori che li ricopian male cambiando le parole, sempre che non si faccia direttamente copia&incolla. qui invece non si parla di nulla se non lo si è visto con i propri occhi. l’andare in onda con in mano un lancio ansa non è nemmeno immaginabile. le agenzie si usan per decider dove mandare i redattori e finché non si ha una propria fonte diretta sul posto non ci si sogna di raccontar nulla se non ciò che è ufficiale, attribuibile con nomecognome ed in ogni caso tutto avvolto nei condizionali. presunto è la parola più usata nel giornalismo iuessei e non è un’iperbole.

    in questo momento in california c’è un sospetto serial killer, ci ha anche un soprannome ad effetto, craiglist killer, perché attirerebbe le sue vittime con falsi annunci su craiglist. poi ci son due minorenni scomparse con tanto di week-end in cui la comunità tutta a turno si presta per le ricerche. e per comunità tutta si intendono centinaia a volte migliaia di persone ogni sabato/domenica, roba che la vita in diretta ci sguazzerebbe per un anno intero se solo a)lo sapessero b)conoscessero qualcuno che sa l’inglese. poi hanno trovato il luogo in cui due celeberrimi serial killer, loren herzog e wesley shermantine, hanno sepolto le loro vittime, luogo cui si è risaliti dopo una rocambolesca vicenda in cui son coinvolti un agente dell’fbi in pensione ed un cacciatore di taglie [di loro, dei killer e delle vittime mai trovate, si è parlato anche in alcuni episodi di criminal minds. un caso di 'cazzoneria' tanto eclatante che magari un giorno ve lo racconto nel dettaglio, così, per fare la tara ai procedural]. eppure, di tutto questo avete sentito parlare? s’è visto il b.a.u. da qualche parte? difficile che accada se non quando un caso diventa nazionale. che è anche uno dei modi in cui in italia, in europa, lo si viene a sapere, cioè quando finisce sulle agenzie e quindi a milano un redattore da seduto ricopia, cambiando le parole.

    che cosa trasformi una notizia locale in una notizia a carattere nazionale è spesso, semplicemente, l’orario. quando tre mesi fa un ragazzo ha sparato ed ucciso sette persone in una scuola di oakland e repubblica ed il corriere ci hanno aperto le loro edizioni online per un giorno intiero, qui in onda c’era oprah. e non si interrompe oprah. e mentre i furgoni si recavano sul posto non c’era ancora nulla che si potesse dire [sempre per la questione delle fonti] e quando c’è stato qualcosa da dire c’era il basket e poi ora di sera non c’era ancora nulla di nuovo da dire, ché ormai era finito tutto e sui canali all-news faceva più notizia ed ascolto obama-allenatore-per-un-giorno [si era in piena march-madness]. sui canali generalisti la programmazione era la consueta, con gli ancora più consueti flash dalle reti locali alle dieci di sera, quelli che quando non c’è un assassino son capaci di aprire con un temporale o con un incidente domestico buffo, ché di notizie altre non se ne son trovate.

    certo, poi a volte intervengono altri fattori a far si che una notizia di cui qui si parla a stento faccia il giro del mondo. contano il caso, la ‘viralità’ di certe news, paradossalmente, il fuso orario di new york, ché i corrispondenti esteri son quasi sempre tutti là e se una notizia arriva all’ora giusta ecco che tutti quanti s’affrettano a diffonderla. anche a vanvera, come nel caso appunto dello shooter di oakland in cui tutta italia ne ha parlato per un giorno ed una notte e qui a stento se ne è avuta contezza nel sud della california.

    altra genesi ha avuto la notizia del massacro del virginia tech che effettivamente è stato l’unica notizia per quasi una settimana. questione, cinicamente, di numeri. è stato un vero massacro, prima di tutto. e la notizia era ancora ‘in corso’ in prime-time. fatti i conti del rating il circo mediatico è diventato quello che ci siamo immaginati da sempre. hanno anche fatto saltare una serie tivì quella sera, cosa rara, anche se ci si sente di dire in caso di tragedie nostrane, a sproposito, ‘negli stati uniti avrebbero già fatto saltare il palinsesto’. in quel caso era stata una coincidenza più che una eccezione. criminal minds avrebbe riguardato proprio uno shooter all’università e non è parso opportuno mandarla in onda [una puntata che, a tranci, è stata mirabilmente recuperata la stagione successiva, era l'episodio in cui jason gideon ha salutato tutti quanti].

    insomma quel che si vede in tivì è la pura verità, quel che non si coglie è il contesto. ci sono sì le conferenze stampa del capo della polizia, gli allarmi per la scomparsa dei minori, gli identikit sui cartelloni pubblicitari e le foto dei bimbi sui cartoni del latte. ci sono gli incontri di politici e forze dell’ordine con le comunità, ci sono le interviste agli avvocati sui gradini delle corti di giustizia. ma tutto ciò è dannatamente locale. in oregon, che è qui sopra, non hanno la più pallida idea di quel che accade in california, la costa est e la costa ovest son tenute assieme dal campionato di football, lo stato, qui, è lo stato in cui vivi e da cui probabilmente non ti muovi per il resto della vita. la stampa è locale che più locale non si può e quando non c’è qualcosa di locale è politica interna [se si tratta di economia] o più probabilmente estera. spesso le news stanno in contenitori in cui c’è l’intervista alla signora che ha visto un fulmine cader nel suo giardino o il pompiere che ha salvato un micio. e nemmeno questa è un iperbole. il numero dei gattini salvati è riportato nella conferenza stampa quotidiana del capo dei pompieri. e capita pure che finisce in tivì se quel giorno di gattini ne han salvati tanti. anche se in oregon c’era un serial killer.
    Fonte: Serialmente
     
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  11. DeanLover
     
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    CITAZIONE (Chris Winchester @ 3/6/2012, 09:05) 
    Nemmeno tu mi inserisci Charmed. ma

    Ma non me li ricordo :(



    Certo che la storia di cosa fa notizia o meno è al quanto raccapricciante, nonostante io odi la programmazione eccessiva che fanno in Italia (tipo porta a porta ci sta frantumanto con schemi e schemini dell'Italia e del suo essere un territorio sismico, così come ci ha fracassato con il plastico della costa concordia o con quello della villetta di avetrana o cogne, idem qualsiasi programma di approfondimento) ma non parlarne minimamente mi sempre assurdo.
     
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  12. Chris Winchester
     
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    Perché le serie TV sono meglio dei film!
    Gavin Polone sul New York Magazine prova a capire il motivo per cui le serie TV sono ormai meglio dei film.

    Polone sostiene, infatti, che la gente abbia sviluppato nel corso degli ultimi anni un certo malessere nei confronti del cinema, affermando sempre più spesso che “non c’è niente di interessante da guardare”. Sì, ci sono stati grandi film come la trilogia di Batman o The Avengers, ma quand’è l’ultima volta che avete visto un film (non animato) e avete pensato che si trattasse di un classico paragonabile a titoli come Quei bravi ragazzi, Qualcuno volò sul nido del cuculo, I predatori dell’arca perduta? Potranno esserci stati film indipendenti di quel livello, ma i piccoli film indipendenti non raggiungono la massa.

    E per questo, negli ultimi anni, la TV si è incredibilmente rafforzata: la gente attende con ansia i nuovi episodi di Breaking Bad, guarda le sue serie preferite su Netflix o servizi simili, ma rinuncia sempre più spesso al cinema. (Il numero di entrate al cinema nel 2012 sarà il più basso degli ultimi 19 anni, nonostante in questo periodo la popolazione sia aumentata*).

    Ma il problema alla radice, secondo Polone, è il modo in cui vengono prodotti i film: non c’è più spazio per piccoli drama ben fatti, la decisione all’interno di uno studio deve essere sostanzialmente unanime e orientata al profitto. Niente di più: ci sono i grandi film che fanno tanti soldi, ma costano molto e poi ci sono i film di media qualità, che in passato avrebbero avuto un senso, ma ora non più, perché nessuno si accontenta di una qualità medio-bassa visti i prezzi dei biglietti.

    Al contrario, in televisione, non si hanno a disposizione le grandi cifre del cinema e quindi si punta sull’unicità del prodotto, ottenuta con una grande scrittura o con particolari caratteristiche (a dire il vero questo vale più che altro per i canali via cavo, che non devono preoccuparsi di raggiungere il pubblico di massa, ma solo una parte).

    A questo si aggiungano due fattori: ci sono molti più network che producono serie rispetto al passato ed è molto più facile, oltre che conveniente, procurarsi questi prodotti. Da qui la posizione vincente delle serie TV, che ormai dominano l’immaginario culturale più dei film.
    Fonte

    Beh, non posso che quotare...
     
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11 replies since 30/3/2012, 18:33   137 views
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