That's really supernatural!

FanFiction by bloodyjane

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  1. Vivaldi4love
     
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    Molto bella questa parte!!!!!!!!! Che segreti ci sono dietro???
    Aspetto il seguito!
    ^^
     
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  2. bloodyjane
     
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    Grazie x i vostri complimenti... x ripagarvi, ecco il 3° capitolo

    John aprì la porta della Roadhouse, seguito da Joan, che si guardò intorno con circospezione. Nel momento stesso in cui entrarono, nella sala calò un silenzio di tomba, e tutti si misero a fissarli. Una donna bionda uscì da dietro il bancone e gli andò incontro. “Che ci fai qui, Winchester? Sai bene che non sei il benvenuto”.
    “Lo so, Ellen, ma ho… bisogno che tu mi dia una mano” rispose, indicando Joan. Quella donna, Ellen, la squadrò dalla testa ai piedi, e Joan rimase ferma; gli altri cacciatori avevano ripreso a parlare, ma lei era sicura che l’argomento delle loro conversazioni fosse uno solo, e fosse lo stesso: lei.
    “Come ti chiami?”
    “Ahm, mi chiamo Joan. E… ho fame” rispose, accorgendosi in quel momento quanto il suo stomaco reclamasse del cibo.
    Ellen guardò John e fece strada verso il bancone, dove lei si sedette a una sedia, con la sensazione di avere tutti gli occhi puntati addosso. Tenne lo sguardo basso, fissandosi le mani, in attesa che Ellen le portasse qualcosa. “Ecco qua” fece, mettendole di fronte un sandwich ripieno.
    “Grazie” rispose, iniziando a mangiare. Però, era buono… decisamente buono. In meno di cinque minuti, l’aveva già finito. “Potrei averne un altro?”
    “Certo. Jo, vieni qua” esclamò, chiamando una ragazza dall’altra parte del salone. La ragazza, Jo, somigliava in modo incredibile a Ellen, tanto che poteva essere sua figlia. “Prepara un sandwich, io devo parlare con John” le disse, allontanandosi con John e uscendo dalla Roadhouse.
    “Ciao” le disse Jo, sorridendo.
    “Ciao” rispose, osservandola mentre preparava la sua cena.
    “Allora, da quanto conosci John Winchester?”
    “Da ieri pomeriggio. E tu?”
    “Lo conosco da sempre, veniva qua quando ero più piccola” rispose, passandole il sandwich. “Poi… mamma gli ha detto di smetterla”.
    “Tua madre è Ellen?” le disse, con la bocca piena.
    “Sì. Io sono Jo Harvelle, la figlia di Ellen Harvelle. È lei la proprietaria di questo posto”.
    “Quindi, tu vivi con i tuoi?”
    “No, solo con mia madre. Mio padre è morto quando avevo dieci anni. E tu? Come mai sei in viaggio con John? Non hai una famiglia?”
    Joan si bloccò, posando il panino sul piatto. “Non lo so. Forse” rispose alla fine, riprendendo a mangiare. Poco dopo, Ellen e John rientrarono e Jo si allontanò.
    “Allora, Joan” iniziò Ellen. “Che ne dici di restare qui alla Roadhouse?”
    “Per me va bene. Non ho un altro posto in cui andare, quindi…” rispose, bevendo un sorso d’acqua.
    “Ok, quindi io vado. La pistola puoi tenerla, ma fatti insegnare come usarla, d’accordo?”
    “D’accordo”. John fece una smorfia, e se ne andò. Per tutta la sera, rimase seduta al bancone, dando delle occhiate dietro di sé e fissando la televisione. Pian piano, gli altri cacciatori presenti se ne andarono via.
    “Joan, non hai sonno?” le chiese Jo.
    “Ho dormito troppo in questi giorni, non ho più sonno. Credo di poter restare sveglia per due giorni” rispose.
    “Beh, comunque vieni nella tua stanza. Anche se non dormi, lì starai tranquilla, dai” e le fece cenno di seguirla. Joan si alzò, e seguì Jo lungo un corridoio. “Ah, non preoccuparti se senti dei rumori provenire da questa stanza” le disse, passando davanti ad una porta chiusa, su cui c’erano delle travi con qualcosa scritto sopra.
    “Perché?”
    “Perché c’è il nostro genio del computer, Ash. E questa, invece, è la tua camera” le disse, aprendo una porta. Joan entrò, guardandosi attorno: era abbastanza vuota, come stanza, c’era solo un letto, un armadio e un tavolo con una sedia. “Nell’armadio ci sono alcuni miei vecchi vestiti, credo che ti possano andare bene”.
    “Grazie Jo” rispose, sorridendo, e lei chiuse la porta. Joan rimase sola nella sua nuova camera. Per qualche minuto stette immobile, poi andò verso la finestra e osservò di fuori: c’erano alcune auto, la maggior parte erano come quelle di John, dei grossi SUV, ma c’erano anche delle auto più piccole, che non davano molto nell’occhio… era sicura che, però, ci fossero molte armi nel bagagliaio.
    Si sedette sul letto, e si mise a riflettere sulla Roadhouse: non ricordava se fosse stata in un posto più strano di quello, ma (come sempre) aveva la sensazione che fosse uno dei più normali che avesse mai visto. Si sdraiò, e chiuse gli occhi: non appena lo fece, l’impressione che qualcuno la stesse osservando si rifece viva.
    Saltò sul letto, e corse alla finestra, aprendola: era più che certa che, chiunque fosse stato, era lì, fuori dalla Roadhouse… solo che ora non c’era più.
     
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  3. primb_halliwell
     
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    fantastico...molto intrigante :) complimentoni!!
     
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  4. sahany09
     
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    Si, davvero! Molto intrigante.
    E mi piace l'idea che tu stia raccontando una specie di retroscena della 1a stagione.
    Attendo il seguito per sapere "cosa" segue Joan.
    Brava!
    Scrivi anche bene.
     
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  5. bloodyjane
     
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    Grazie... ahahah, e ki dice ke sia un "cosa" a seguirla??
     
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  6. eli*dreamer
     
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    mi piace sempre di più...molto misteriosa e piena di suspance!
     
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  7. dani61
     
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    Ma che bella storia! Sempre più interessante - ma cosa succederà? Finita li sul più bello????
    Bravissima - complimenti davvero!
     
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  8. bloodyjane
     
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    Quarto capitolo... cn qlke conoscenza dll Roadhouse e piccole rivelazioni, buona lettura....

    La mattina seguente, Joan fu svegliata da un rumore forte, proveniente dalla stanza accanto alla sua... anche se probabilmente non era poi così forte come credeva. Si era addormentata non senza difficoltà, con la paura che chi la stava osservando da un giorno potesse entrare nella stanza, e per tutto il tempo in cui aveva dormito aveva avuto una sensazione opprimente di caldo soffocante, tanto da impedirle di respirare.
    Scrollò la testa, e si alzò dirigendosi verso l’armadio, e aprendolo: l’asta era piena di jeans, almeno una decina, e di giacche pesanti per l’inverno e più leggere per l’estate, mentre sul piano sopra i cassetti erano impilate delle magliette. Li guardò tutti, e decise di indossare dei vestiti simili a quelli che aveva quando si era svegliata, quindi uscì.
    Ellen era già dietro al bancone, e lei si sedette su una sedia. “Ciao. Hai dormito bene?” le chiese. Chissà perché le facevano tutti la stessa domanda…
    “Ho dormito” rispose, alzando le spalle e giocherellando con un sottobicchiere. Si guardò attorno: Jo non c’era, e la Roadhouse era semi-vuota, tranne qualche cacciatore che puliva il fucile o la pistola, oppure che controllava le altre armi.
    “Buongiorno a tutti” esordì una voce. Joan alzò gli occhi, e vide un uomo con una capigliatura assurda: i suoi capelli erano tagliati davanti, ma li aveva lasciati crescere dietro.
    “Ash, cos’altro hai combinato?” disse Ellen, senza guardarlo. Ash sospirò, e si sedette a due posti di distanza da Joan.
    “Niente, perché dovrei sempre combinare qualcosa?”
    “Perché ti conosco da abbastanza tempo da poterlo dire. Allora, cos’hai fatto?”
    “Ma niente” si schernì lui. “Ho solo, ecco… ho accidentalmente fatto cadere una tazza”.
    “Alla faccia, sembrava una finestra in frantumi” sussurrò Joan, senza riflettere troppo.
    “E tu chi sei?” le domandò Ash.
    “Lei è Joan, vive nella stanza accanto alla tua. L’ha portata qua John Winchester” fece Ellen per lei.
    “Ed è ancora vivo?” scherzò Ash. Ellen posò il bicchiere e lo fissò con sguardo assassino. Joan rimase immobile, e spostava lo sguardo da lei ad Ash: Ellen doveva aver imparato a essere così forte, per avere a che fare con tutti quei cacciatori.
    “Ash, non c’è niente su cui scherzare. Quando questi cacciatori saranno andati via, e noi potremmo stare un po’ tranquilli, allora ti spiegherò tutto quanto: per il resto, evita di fare domande inutili”.
    “Ok, capo” esclamò, alzandosi e dirigendosi verso uno strano apparecchio, che somigliava a una televisione.
    “Perché Ash accende un’altra tivù?” disse, osservandolo mentre la accendeva. La sua domanda doveva essere molto stupida, o forse Ellen non pensava che lei avesse così poca memoria.
    “La tua amnesia è peggiore di quello che crede John”.
    “La mia cosa?”
    “Amnesia: si dice così quando non ci si ricorda nulla del proprio passato. Ma non ricordi davvero niente?” le chiese, in quello che era poco più di un sussurro.
    “Ricordo il mio nome, e che ero a Times Square. Poi ci sono solo sensazioni” bisbigliò in risposta.
    “Quali sensazioni?”
    Joan non voleva dirle che c’era qualcuno che la inseguiva, si sarebbe solo preoccupata di più. “Mi sento bene con i vestiti che indossavo, forse li ho portati per molto tempo; stanotte, mentre dormivo, avevo una sensazione di oppressione, di caldo soffocante. E poi, John ha detto che ho pronunciato un nome, ieri, mentre dormivo”.
    “Il nome di chi?”
    “Non lo so: il nome è Kyle. A te cos’ha detto John?”
    “Mi ha detto di tenerti d’occhio. Che non ricordi nulla, e che potresti essere stata posseduta da un demone”.
    “Nient’altro?”
    Ellen la fissò, appoggiando le mani al bancone. “Le tue ossa sono in frantumi, manca poco che siano ridotte in briciole, ed è questo che non riusciamo a capire. Ma, se aspetti un po’, potremo far cercare qualche informazione ad Ash, lui è il migliore”.
    E così fece: per quasi tutta la mattina, aspettò che il salone si svuotasse per avere qualche risposta. Nel frattempo, Jo era tornata portando con sé delle casse di birra e altri alcolici, e lei la aiutò a portare tutto dentro il magazzino. Quando tutti furono andati via, Ellen chiamò Ash al bancone. “Joan non ricorda nulla: tu la devi aiutare”.
    “Sarà fatto. Ma prima, voglio sapere quello che ricorda”.
    “Ancora?” esclamò lei, buttando la testa sulle braccia incrociate sul bancone. “Mi chiamo Joan, e credo di essere sparita a Times Square. Punto”.
    “È un po’ troppo poco, ma vedrò di fare il possibile. Il mio computer è il massimo, per le ricerche di questo genere”.
    “Il tuo cosa?”
    “Computer. Non mi dirai che non sai cos’è?”
    “Non credo di ricordarlo” sorrise, seguendolo e sedendosi accanto a lui. No, decisamente quello schermo tremolante e pieno di scritte non lo ricordava. Ash iniziò a cercare tra le persone scomparse a New York durante l’ultimo anno, ma non trovò nulla.
    “Provo ad andare ancora più indietro di un anno, ma non assicuro nulla”.
    “Anche il minimo per me va bene”.
    “Senti, ma davvero quello che mi ha detto è tutto? Anche la cosa più piccola mi aiuta, davvero Joan”.
    “Kyle”.
    “E chi è?”
    “Non lo so, ma a quanto pare dovrei: ho detto il suo nome”. Ash si sistemò i capelli, e una domanda sorse spontanea a Joan. “Ma che hai fatto di male al parrucchiere, perché ti facesse un taglio del genere?”
    “Ehi, andava di moda”.
    “Quando?”
    “Anni ’80… sai, pantaloni stretti, giacche di pelle marrone, scarpe da cow boy”.
    “Giacche di pelle nera, pantaloni stracciati, maglie sporche e piercing… credo che sia meglio”.
    “Wow, decisamente rock”. Joan rifletté un attimo: già, era quello che le piaceva. Non ci aveva dato peso, ma in macchina di John c’era quella musica.
    “Mi piace il rock, va meglio così?”
    “Non credo, ma almeno ricordi qualcosa”.

    Edited by bloodyjane - 1/11/2010, 18:05
     
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  9. primb_halliwell
     
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    bravaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa complimentiiiiiiiiiiiiiii:)
     
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  10. sahany09
     
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    Ok, quello che segue Joan non è una "cosa", ma forse un cristiano.
    Bene. Interessantissimo.
    Ti seguirò.
     
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  11. bloodyjane
     
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    Questo capitolo è un pò lunghetto, ma serve per far capire alcune cosucce, perdonatemi :P

    Nei mesi che seguirono, Joan imparò a usare la pistola che le aveva lasciato John e, a furia di sentire i discorsi dei cacciatori, aveva anche imparato qualcosa di più sui demoni, sempre con la speranza di ricordare qualcosa o che qualcuno la riconoscesse, dato che aveva detto ad Ash di smetterla di cercarla fra le persone scomparse.
    Quando l’aveva comunicato a tutti e tre (Ash, Ellen e Jo) si era ritrovata davanti alle loro facce sconvolte. “Non credo di aver capito bene, Joan: ripeti un po’” le disse Ash.
    “Voglio che tu la smetta di cercarmi”.
    “Perché?” esclamò Jo, seduta sul tavolo accanto al computer.
    “Sarebbe inutile: se trovasse qualcosa, chi mi assicura che poi ricorderò? Sarebbe come mettere delle informazioni in un computer… non serve”.
    Ash la fissò, curioso. “Non è che hai paura di quello che potrei trovare?”
    “No” esclamò lei. “Solo, voglio aspettare di sapere qualcosa in più da sola”.
    “Beh, non è che finora tu ti sia ricordata molto”.
    Joan sbuffò, e bevve un altro sorso di birra. “Voglio provarci da sola. Ash, prometto, quando capirò che da sola non ce la faccio, ti chiederò di cercare di nuovo”.
    Da quel momento, erano passati quattro mesi, l’inverno era finito e aveva lasciato il posto a una primavera abbastanza mite… ma, soprattutto, non aveva più la sensazione di essere seguita. A dir la verità, quella sensazione era sparita molto in fretta, a parte quelle poche volte non le era mai più successo; in compenso, quando dormiva aveva ancora l’impressione di trovarsi in una specie di forno, e questo l’aveva portata a tenere la finestra aperta durante le notti invernali… con la (ovvia) conseguenza di essersi presa una febbre che sfiorava i quaranta gradi. A Ellen non aveva detto niente di tutto quello, lasciandole credere che solo la prima notte avesse avuto quell’impressione.
    C’era un’altra cosa che, con il tempo, però, si era solo affievolita: i suoni nuovi. Ricordava bene quando qualche idiota aveva frenato con troppa forza proprio davanti alla porta d’ingresso: aveva in mano un bicchiere, che le era caduto dalle mani, frantumandosi nel lavello… e lei si era dovuta accucciare sotto il bancone per il dolore alle orecchie. “Ehi, tutto ok?” le aveva detto Jo, abbassandosi al suo livello.
    “S-sì. È solo… quella fottuta macchina” rispose.
    “Dai, alzati o si chiederanno tutti cosa sia successo”. Joan si rialzò, raccogliendo i frammenti di vetro e stando ben attenta a non ferirsi con le schegge.
    “Ciao Ellen” esordì un uomo, seduto al bancone, con i capelli rasati e uno sguardo distrutto.
    “Il solito, Caleb?”
    “Sì” rispose, e poi voltò il viso verso Joan. “Hai una nuova aiutante, Ellen?”
    “Mm, si” fece, mentre gli passava un piatto con un sandwich e una bottiglia di birra. “È una nipote di Wll, si chiama Joan”.
    “Anche lei segue le orme dello zio?” ridacchiò.
    “In parte” esordì Joan. “Diciamo che zia Ellen mi ha messo qui dietro, così posso imparare la teoria”.
    Caleb scosse la testa, bevendo un sorso di birra, ed Ellen sorrise. “Per ora, è meglio quella della pratica, credimi. Avresti dovuto vederla quando ha iniziato a sparare: ha svuotato tre caricatori, e neanche un centro”.
    “Allora, è meglio la teoria: se succedeva una cosa del genere lì fuori” accennando alla porta “eri morta da un pezzo”.
    “A proposito, dove sei stato Caleb?” fece Ellen, per distrarlo da Joan.
    “Niente di particolare, era solo un caso di possessione demoniaca”. A quelle parole, nella testa di Joan si accese una lampadina e si mise in ascolto. “Anzi, devo ringraziare Bobby, mi ha prestato alcune armi e dei libri e glieli devo riportare… solo che sono stanchissimo” finì, strofinandosi gli occhi.
    “Se vuoi, gliele posso riportare io tutto a… Bobby. Mi dici solo dove abita, e vado” esclamò Joan: questo Bobby doveva sapere un sacco di cose, se aveva aiutato un altro cacciatore. Chissà, forse avrebbe saputo qualcosa in più.
    “Sicura, Joan?” domandò Caleb, nei cui occhi era visibile la speranza di un lungo sonno su un letto comodo, e lei fissò Ellen che, al contrario, la fissava sorpresa: Joan non aveva mai fatto un viaggio di quel genere, non era mai neanche andata in macchina da sola.
    “Certo” rispose. “Se mi dai una mano, porto tutto sul pick-up e vado” togliendosi il piccolo grembiule che portava e posandolo, ma Ellen la bloccò.
    “Dove cazzo credi di andare, Joan?” le sussurrò.
    “A scoprire un po’ di più sulla possessione demoniaca, perché qui nessuno mi dice un bel niente”.
    “Stai attenta: Bobby è il migliore in queste cose, ha letto tutto quello che c’è”.
    “Meglio, no?” rispose, liberandosi dalla stretta e uscendo dalla Roadhouse, sbattendosi la porta alle spalle così forte che rischiò di rompersi. Caleb aveva già spostato un grosso scatolone sul sedile del pick-up e stava scrivendo qualcosa su una mappa.
    “Questa è la strada più veloce, ma ci vogliono comunque cinque ore ad andare e cinque a tornare. Sei proprio certa che te la senti?”
    “Cazzo, sì: sono mesi che non vado più in là della città qua vicino, mi serve cambiare aria”.
    “Non so come ringraziarti, Joan: tieni, questo è l’indirizzo di Bobby” le dice, passandole un piccolo appunto.
    Joan sorrise, prendendo l’appunto e mettendolo nella tasca del giaccone, e ripiega la mappa in quattro. “Lascia una mancia adeguata al servizio” rispose, prima di salire in macchina e accendere il motore.
    Uscita dalla città, aprì la mappa, allargandola sullo scatolone e ogni tanto gli gettava un’occhiata, per essere sicura delle destinazione: muovendosi verso est, notava che il paesaggio era sempre più pianeggiante e l’aria diventava più fresca.
    Cinque ore dopo, arriva finalmente a Sioux Falls e prende l’appunto dalla tasca: ora, deve solo trovare la casa di questo cacciatore. Ferma un passante, e gli mostra il foglio. “È lo sfasciacarrozze” risponde, e poi le indica la strada. Una decina di minuti dopo, Joan entra in un giardino pieno di vecchie auto, alcune arrugginite e altre con pezzi mancanti; apre lo sportello, ma è costretta a richiuderlo quasi subito, per colpa di un cane nero che inizia a ringhiarle contro… la paura la immobilizza sul sedile, con la mano ancora posata sulla maniglia.
    Quel ringhio le risuona nel cervello, cupo, soffocato, e le sembra quasi di poter sentire quegli artigli sulla pelle, graffiarla e morderla fino a farla sanguinare… non è un bel ricordo, decisamente no.
    “Rumsfeld” grida un uomo uscendo dal portico. “Seduto!” e il cane si mette a cuccia, ma continua a mostrarle i canini, ringhiandole contro. “Di solito non fa così, scusa”.
    Joan cerca di respirare normalmente, tenendo le mani sul volante. “Ehi, tutto ok?” le chiede di nuovo.
    “I-io ho… ho pa-paura dei cani” risponde, capendo il perché della sua reazione. Wow, senza volerlo c’è riuscita: ha ricordato! Una risatina le esce dalle labbra, e poggia la testa sul volante.
    Bobby la fissa, scuotendo la testa, e aprendo lo sportello. “Mi spieghi chi sei?”
    “Sono… sono Joan, vivo al Roadhouse” spiega, fra le risate che le scuotono le spalle, “sono qui per riportarti quelle” indicando lo scatolone accanto a lei.
    “Ok, allora scendi e portalo dentro” risponde lui, aiutandola e facendole strada. La casa di Bobby è piena zeppa di libri, dovunque Joan posi lo sguardo ce n’è un pila: sono tantissimi, di varie dimensioni e alcuni hanno le scritte così rovinate da essere illeggibili.
    “Cazzo, quanti libri” esclama.
    “Mi servono per far fuori quei figli di puttana dei demoni” esclama lui, portandola in una stanza che sembra una biblioteca. Joan posa lo scatolone su una poltrona, e inizia a guardarli: la sua attenzione è attirata da un libro sulla scrivania, e lo apre. È pieno di simboli strani, con delle formule scritte in una lingua che non riesce a capire.
    “Quello è la chiave di Salomone” fa Bobby, e Joan alza la testa. “È il libro migliore per liberare un poveraccio se viene posseduto”.
    “Cosa sai esattamente della possessione? Voglio dire, cosa succede… alle persone, dopo che sono state possedute?”
    “Se sono molto fortunati, tornano alla loro vita di prima senza troppi scossoni”.
    “E se non lo sono?”
    “Muoiono, nel peggiore dei casi; altrimenti, sono conciati malissimo. Ma come mai tutte queste domande?”
    “Uhm, curiosità” rispose. In quel momento, volta una pagina e vede un grosso cerchio con delle iscrizioni: non sa perché, ma sente che quella cosa è molto più pericolosa delle altre.
    “Quella” dice Bobby, avvicinandosi, “si chiama trappola del diavolo: è la migliore, fra tutte quelle presenti su questo libro. Ci metti un demone dentro, e quello diventa come una fottuta bambola di pezza: non può muoversi, non può fare nulla”.
    Joan rimane ferma, fissando quella pagina… quel simbolo le fa paura, quanto il cane là fuori. Se non di più.
     
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  12. sahany09
     
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    Sempre meglio!!!!
    Personaggio davvero curioso questa Joan. Il cane nero...Uhm. M'intriga.
    Bravissima!!!!
     
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  13. primb_halliwell
     
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    ehi non avevo letto l'ultimo capitolo come sempre molto bello!!! complimenti!!
     
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  14. bloodyjane
     
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    Grz... x ora, sn un pò bloccata, ma x cause di forza maggiore (esami universitari, uff), e spero di poter scrivere presto.
     
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  15. primb_halliwell
     
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    nn fa niente lo studio rompe tutti !!! piuttosto poi hai dato un'occhiata alla mia fanfiction?? :) mi raccomando però eh? cerca di scrivere ihih scherzo!!
     
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465 replies since 24/8/2010, 15:36   5749 views
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